Martina Carone Emergenza politica, partiti senza visione e cittadini ansiosi: l'Italia bloccata
Martina Carone Emergenza politica, partiti senza visione e cittadini ansiosi: l'Italia bloccata
Partiti di governo e dell’opposizione schierati come tifosi, sempre alla rincorsa dei temi che conquistino l’opinione pubblica e i titoli dei giornali. Ma sull’altro fronte noi, cittadini-elettori che pretendiamo soluzioni immediate e indolori a problemi complessi. Di qui una crescente disaffezione per la cosa pubblica che si trasforma nell’astensione dalle urne. Così le decisioni che possono cambiare il Paese e la società restano al palo, mentre si bruciano sempre più in fretta le alleanze e le leadership, sia nazionali ma anche giù fino ai Comuni. Intanto si fanno avanti le figure femminili, più convincenti ma frenate dal sistema. E su tutto un’informazione che sembra più parte del problema che della soluzione.
Incontro dopo incontro, #Open ci sta mostrando come ormai stiamo vivendo nella società dell’emergenza narrata, temuta e vissuta. Ma, ci spiegano gli ospiti, ce la facciamo a vivere anche in questa stagione di continui terremoti, adattandoci e cercando vie nuove per fare esperienza e progredire. Ce la stanno facendo il mondo delle imprese, proviamo sia pure a fatica ad affrontare la crisi del clima, dovremo fare i conti con il calo delle nascite e le sfide dell’energia, assistiamo come spettatori allo scontro fra le superpotenze e da protagonisti alla trasformazione della lingua e dei modelli di comunicazione. Invece chi chiaramente fa fatica a tenere il passo è la politica, che non trova né cerca modelli innovativi, non riesce a star dietro neanche ai cittadini-elettori e in mancanza di idee si contempla l’ombelico.
I partiti, sia quando governano che quando protestano, sembrano incapaci di dare risposte chiare ed efficaci e si rifugiano dietro le ricette a breve termine, cavalcando proprio quelle emergenze che dovrebbero affrontare. Così la gente passa dall’entusiasmo allo spavento, in un ciclo sempre più accelerato. Per capirne qualcosa di più – e per vedere meglio anche che responsabilità abbiamo noi italiani in questo contesto – Francesco Masini ha portato a #Open 2022-23 in Vecomp Academy Martina Carone.
I suoi studi in Scienze di Governo e Comunicazione Pubblica alla LUISS l’hanno spinta oggi a diventare una consulente in comunicazione, docente di Analisi dei Media all’Università di Padova e a insegnare Narrazione istituzionale alla Scuola Holden. Inoltre è formatrice in copywriting politico, scrive per varie testate e interviene nei programmi politici televisivi. La persona giusta per sottolineare davanti al pubblico della Academy che, nonostante tutti questi difetti, se voltiamo le spalle alla politica è il nostro futuro che ne risente, non il suo.
“Faccio un sacco di cose, ma alla fine ruota tutto intorno alla comunicazione politica”, dice di sé Martina Carone. “Con YouTrend aiutiamo persone che hanno interesse a comunicare meglio e a essere più incisive verso l’opinione pubblica. Non significa fare propaganda, ma proponiamo format e linguaggi in grado di trasmettere con efficacia i messaggi chiave che ciascuno ha come obiettivo. Qui però occorre chiarire che cos’è l’opinione pubblica: e non possiamo definirla altro se non la somma delle opinioni dei singoli, purché siano attenti ai propri interessi, a quelli collettivi e anche all’attualità. L’opinione collettiva si forma con la comunicazione politica, attraverso i giornali e gli altri media, tramite la voce delle grandi aziende e delle organizzazioni, anche sulla miriade di voci dei social. Insomma, siamo noi”.
E siccome siamo noi, prendiamoci la nostra parte di responsabilità, senza dire che è solo la politica sporca, brutta e losca. Perché alla fine è lei che si occupa della cosa pubblica, cioè di noi: ignorarla diventa un problema che si trasforma, come capita sempre più spesso, in disaffezione e poi nel rifiuto di andare alle urne a esprimere il nostro voto. Facendoci però lo sgambetto da soli, perché sarà il nostro futuro a risentirne. E non è neanche una novità, perché peggiora da almeno una trentina d’anni, da quando è crollato il sistema della prima Repubblica. Allora c’era un muro che divideva gli schieramenti elettorali in due parti quasi uguali: per questo se anche solo l’1% degli elettori cambiava sponda, poteva contribuire a far cadere e sostituire un governo. Finito questo sistema con Tangentopoli e Mani pulite, è iniziata la stagione degli indecisi e dei confusi, che non riescono a ritrovarsi in un partito.
Martina Carone mette in evidenza come salti all’occhio la differenza tra lo schema fisso in cui un elettore non si limitava a votare ma “era” democristiano o comunista, e la mobilità “liquida” che emerge dalle più recenti cronache elettorali e governative. Non ci stupisce nemmeno che si vada meno alle urne anche nei comuni: il problema non è solo nazionale, ci sono effetti immediati e locali ancor più evidenti nei municipi e nelle regioni. Dinamiche veloci e spesso incomprensibili anche dentro e fra i partiti: lo dimostra in questi giorni la crisi prima e il fallimento poi del Terzo Polo, che non si è mai veramente allontanato dalla fase di progetto. Nuove vicende fluide, che fanno saltare equilibri e mettono in crisi anche le persone, i singoli elettori. Come reagisce la politica? Come al solito: poco, male e tardi.
“Un tempo quando i partiti perdevano le elezioni nazionali si dicevano, un po’ contriti, che bisognava tornare ai territori. Significava”, spiega Martina Carone, “non siamo stati capiti dagli elettori, quindi dobbiamo spiegare e far percepire al cittadino che se tu non ti occupi della politica è la politica che si occupa di te... In altre parole la soluzione stava nel ritorno a quella base che convalidava il lavoro dei politici: alle sezioni dei partiti, ai piccoli paesi, alle regioni ignorate per cinque anni tra un voto e l’altro”. Ecco, tutto questo oggi manca, e il colmo sono i politici che accusano i cittadini di non capire, non il contrario. Non sono solo gli elettori a non capire, ma anche fior di esperti e di opinionisti non sembrano più in grado di star dietro alle giravolte dei partiti. La conseguenza è che gli elettori tendono a distribuire il loro consenso in modo apparentemente casuale, inseguendo le promesse di chi si presenta con la soluzione a portata di mano. In una spirale che sta distruggendo la fiducia negli apparati ma anche in chi dovrebbe capire e spiegare a chi è meno esperto.
La nebbia ricopre, sempre più fitta, gli irti colli della cosa pubblica e qui progressivamente siamo un po’ tutti ingabbiati nel giro vizioso in cui alle colpe della politica si aggiungono le colpe degli italiani. Come società siamo diventati sempre più ansiosi. Pretendiamo certezze e risposte immediate, però in cambio riceviamo solo indicazioni contrastanti e dubbiose: mah, vedremo, partiamo così, poi semmai aggiustiamo le cose lungo la strada. Anche la visione si è annebbiata. Forse perché s’è persa anche la capacità di ammettere “non lo so”, come se fosse obbligatorio avere la soluzione immediata, in tasca. Se non ci fidiamo più è anche perché le piazze – quelle dei comizi e quelle virtuali dei social e della tv – sono piene di super-esperti e tuttologi che in realtà non vedono la strada, esattamente come noi. Sul web poi trova spazio chiunque, e più le tesi sono inascoltabili e strampalate e più ricevono applausi, in qualche caso anche voti. A chi deve credere il cittadino elettore?
“Se tutti parlano, una regola che a tratti anche il giornalismo sembra avere dimenticato, si confonde la gerarchia delle fonti, che non sono tutte attendibili allo stesso modo. Spesso si dice”, chiarisce Martina Carone, “che a dettare l’agenda della politica sono i poteri forti, le multinazionali, le grandi potenze o altre cupole misteriose che tirano le fila della nostra vita quotidiana. In realtà se anche i famosi “poteri forti” ce la mettessero tutta, la forza più rilevante a muovere i temi della politica resterebbe l’attualità, che prende spunti continui dal dibattito politico, dai temi europei, dalle reazioni a qualsiasi notizia, dagli esteri, dallo sport, dalla società… anche se i giornali e i loro editori la loro agenda ce l’hanno, eccome”.
Ecco un esempio per capirci: si parla di quanto sia complicato integrare animali ed esseri umani, vicini ma divisi. Non è un argomento piovuto dal cielo: se ne parliamo è perché in Trentino un orso ha ucciso un runner, quindi si commenta un fatto di cronaca. Su questo ovviamente si sono innestate piccole e grandi polemiche, sia tra ambientalisti che politici e commentatori vari, col rischio di scadere nel chiacchiericcio senza affrontare seriamente il tema. E questa è un’altra caratteristica di ogni schieramento politico: porre l’accento sui propri punti di forza per rafforzare la narrazione preferita, nascondendo i lati in cui è più debole. Se un partito dice bianco, l’avversario dice nero: sfrutta gli stessi temi, però li gira al contrario. È per questo dividersi su qualsiasi cosa per ritrovarsi uniti solo dalla bandiera e dal tifo che la politica fatica a scendere a patti con le crescenti complessità sociali.
Prendendo spunto dal suo libro “La candidata vincente” – dedicato alle storie delle leader che hanno cambiato la politica, da Margareth Thatcher a Giorgia Meloni – Martina Carone ha spiegato quali sono i pregiudizi e gli stereotipi che le colpiscono, ma anche le dinamiche e le opportunità sociali, mediatiche, culturali che possono aprirsi. E ha ricordato che pochi anni fa, a proposito di leadership, l’attuale presidente del Consiglio si sentiva dire che non avrebbe mai potuto guidare una forza politica perché “doveva fare la mamma”. E se lei ce l‘ha fatta, anche le donne che fanno parte di un governo quasi sempre ricevono i ministeri senza portafoglio: non perché i colleghi temano un eccesso di spesa, ma perché i ruoli più rilevanti di solito vanno ai capi corrente dei partiti, che nella quasi totalità sono uomini. A questa difficoltà che pesa sul mondo femminile si aggiunge un’altra lunga serie di freni che rendono quasi impossibile raggiungere posizioni rilevanti. Tra i lati positivi, le leader hanno un tratto distintivo: sono più convincenti nel raccontare la propria visione del mondo e nel coinvolgere i cittadini nel fare insieme i passi avanti. Sì, certo, le cose cambiano – ai vertici politici del PD oggi c’è Elly Schlein –: solo che in Italia avviene troppo lentamente.
Ma in politica la stagione del dubbio non sta mettendo in difficoltà solo le donne: tutti, sia i leader che gli apprendisti, non hanno una visione a lungo termine. Perché? Perché noi, gli elettori, siamo fastidiosamente impazienti: vogliamo tutto e subito, facile, funzionante ma soprattutto gratis. Il che spiega perché la poca voglia di andare a votare, la disaffezione e il distacco non colpisca solo la politica nazionale ma anche le amministrazioni periferiche. Si fa fatica perfino a trovare qualcuno che faccia più o meno volentieri il sindaco: come si fa a dargli torto? Da una parte la gente vota un primo cittadino perché ha fretta che gli risolva i problemi vecchi e nuovi che si accumulano, ma dall’altra la burocrazia, le limitate risorse tecnico-economiche – e, diciamolo, anche il rischio concreto di ritrovarsi impelagati in un intoppo giudiziario – a rendere lunghi, infiniti i tempi delle sia pur necessarie realizzazioni. Tanto che il consenso si acquista in fretta, ma si perde ancora più rapidamente.
Bravi o non bravi, comunque, se non danno seguito alle promesse elettorali, se sollevano troppo in alto l’asticella delle aspettative, o mettono la comunicazione prima ancora del fare politica, anche i consensi dei leader evaporano in fretta, rendendo quindi impossibile portare a termine il programma. Forse è per questo che la politica sembra voler sfruttare il più possibile le emergenze, invece di occuparsi delle cose da fare giorno per giorno, senza aspettare che i problemi esplodano. Di fronte alla crisi si interviene per dare la sensazione di avere le risposte, che spesso sono solo specchietti per allodole. Nell’immediato si viene premiati, perché la politica parla sempre più alla pancia che agli ideali e non segue visioni e ispirazioni: ma a lungo termine, se non c’è concretezza, questo teatrino non regge.
L’ultimo passaggio, inserito in un ricco confronto con il pubblico di #Open, Martina Carone lo ha dedicato a un tema che emerge con costanza in questa stagione di incontri dedicata al vivere nelle emergenze. Ed è la comunicazione, che sembra aver rinunciato al suo ruolo informativo per fare opinione, e sempre più spesso anche fare politica. Interviene a gamba tesa su ogni tema perché vive di copie vendute e di like sui social, finendo per consegnare alla pancia collettiva dell’opinione pubblica materiale per appiccare incendi quotidiani con toni sempre più accesi. Ovunque: economia, migrazioni, tensioni sociali, pandemia, clima, energia, governo e opposizione, guerra... Ma l’informazione costantemente emergenziale, che cerca in ogni modo il consenso del pubblico soprattutto per ragioni di mercato, rischia di diventare sempre più parte del problema invece che della soluzione.