Grandi e piccole imprese, commercianti, professionisti in attesa di un segnale dai governi per ricominciare a produrre e limitare i danni causati dal Covid-19 al mercato e all’occupazione. La partita in corso tra banche centrali e agenzie di rating, sussidi e prestiti, materie prime e titoli di Borsa… La scommessa dei Recovery Fund e il compito che ci tocca: rimediare finalmente ai nostri errori.
04/05/2020
All’inizio della tanto attesa “fase 2”, superate le settimane dell’emergenza sanitaria, cresce la preoccupazione per i futuri scenari economici e finanziari. Quali saranno gli elementi di cui tenere conto per cercare di salvare il nostro sistema produttivo? In attesa di indicazioni chiare dal governo e di strumenti concreti come il supporto alle industrie, i prestiti alle Pmi o gli aiuti per le partite Iva, ad allarmare sono il calo del petrolio, la competizione globale e il downgrade dei rating per l’Italia, che porta con sé il rischio di aumento dello spread. Ma al centro c’è soprattutto l’attesa per le scelte della UE, dopo che Germania e Paesi rigoristi hanno respinto i Coronabond. Cosa accadrà? Dopo lo scontro sapremo se da questa crisi usciremo insieme, ciascuno per sé, o tutti contro tutti. Ne va della tenuta della stessa UE. Su questi temi abbiamo raccolto le riflessioni di Mariangela Pira, reporter di SkyTG24, che giovedì 7 maggio sarà protagonista del webinar di Smart #Open in Vecomp Academy.
Il ruolo delle banche centrali: FED e BCE
In questo momento di difficoltà estrema sono le banche centrali che possono prendere le decisioni più importanti. La Federal Reserve è pronta a fare tutto il possibile per contenere gli effetti della pandemia e manterrà i tassi a zero finché sarà necessario. Ma nonostante l’impegno (e i 3000 miliardi di dollari di aiuti già approvati dal Congresso) è probabile che nel secondo trimestre il Pil Usa registri un drammatico calo, visto che i danni del lockdown non hanno ancora evidenziato tutto il loro impatto. Nel frattempo in Europa la BCE (che a differenza della FED non ha per mandato il sostegno all’economia ma la sua stabilità) sta andando molto oltre i suoi compiti istituzionali, annunciando interventi per 750 miliardi di euro. E anche se così facendo si rischiano bolle finanziarie, al sistema serve liquidità, anche perché si prevede nel 2020 un crollo senza precedenti del Pil europeo, tra il 5 e 12%.
Le severe pagelle delle agenzie di rating
Le agenzie di rating come Fitch, Moodys e Standard & Poor’s si esprimono stilando vere e proprie pagelle nei confronti di Paesi e delle società, e i loro giudizi sono tenuti in grande considerazione dai mercati sia per il loro storico prestigio che perché sono ritenuti accurati e veritieri. Anche se le agenzie di rating sono state spesso al centro di polemiche per avere sottovalutato dissesti aziendali o addirittura crisi globali, la loro valutazione, soprattutto se negativa, si ripercuote sulle attività dei mercati. Nel caso degli Stati, sulla negoziazione dei titoli del Tesoro. Ciò vale ancor più per l’Italia, già instabile di suo: se ad esempio una o più agenzie li definissero “junk”, spazzatura, i nostri titoli potrebbero non essere più comprati, in quanto non meritevoli di investimento. Nei giorni scorsi Fitch ha ridotto il rating italiano da BBB a BBB-, a un passo dalla spazzatura, perché il “declassamento riflette il significativo impatto della pandemia sull’economia italiana”, precisando che “una successiva ondata di infezioni e ulteriori blocchi indebolirebbero i risultati del 2020 e 2021”, mettendo a rischio la sostenibilità del nostro rapporto debito/Pil. Il rating manda ai mercati un messaggio che, tradotto come “attenzione all’Italia che potrebbe non ripagare il proprio debito”, peserà sul rendimento e sullo spread, colpendoci duramente e allontanando gli investitori.
Come si spiega il “rimbalzo” delle Borse
In queste settimane di lockdown, dopo il baratro iniziale, i mercati sono saliti nonostante i dati economici negativi. Perché accade, a fronte di Pil previsti in forte calo (in Italia -5,1% e in Francia -5,8%)? In parte come abbiamo visto per le promesse di sostegno da parte delle banche centrali e per i tassi vicini allo zero, ma anche perché la Caporetto delle Borse è già stata scontata. Da un lato l’andamento era stato previsto dopo il crollo di marzo, dall’altro si prevede che dopo il primo impatto del virus sull’economia in futuro si possa recuperare il terreno perduto almeno in parte, anche grazie alla parziale ripresa della produzione. È la tendenza naturale del mercato, che guarda alle prospettive: basta una notizia positiva, la voce della scoperta di un vaccino per far cambiare l’atteggiamento degli investitori, anche se dati così fortemente negativi non hanno precedenti né in Europa che negli Stati Uniti.
Il crollo del petrolio: opportunità o crisi
Forte anche l’allarme per il calo del prezzo del petrolio. Il greggio continua a scendere e da giorni non accenna a rimbalzare: anche per il mese di giugno gli operatori non attendono una ripresa della domanda. I depositi di stoccaggio si riempiono velocemente e oggi siamo letteralmente inondati di petrolio: un’incertezza che perdura in mancanza di una richiesta corrispondente all’offerta. Vale sia per il WTI estratto in Texas, dove non c’è più posto per stoccarlo, che per il Brent del Mare del Nord, conservato per adesso sulle petroliere. Non si sa ancora quando e come il prezzo risalirà perché si naviga a vista, controllando i costi e salvaguardando la liquidità. Inoltre un petrolio così conveniente renderà ancor più difficile l’affermazione delle energie rinnovabili. Forse occorrerà riflettere su un’accelerazione del cambiamento: il Covid-19 potrebbe spingerci a riconsiderare il nostro modello di sviluppo.
I dubbi sui sostegni alle imprese in Italia
Il governo italiano ha promesso un puntuale e concreto sostegno alle imprese, ma per ora aiuti e prestiti sono ancora sulla carta. Il sistema produttivo deve sapere se i finanziamenti ci sono, quando verranno distribuiti alle aziende e in che modo. Sembrava che sarebbero stati veicolati rapidamente e facilmente: ma è emerso che i miliardi citati dal governo non sono contanti ma garanzie alle banche per facilitare i prestiti a cittadini e piccole imprese. In questi giorni le imprese stanno gradatamente riaprendo, ma l’incertezza è ancora alta: dopo l’obbligo di chiusura e quindi il netto calo del fatturato, potranno accedere a prestiti, oltretutto difficili da ottenere per le formalità burocratiche (le famigerate 19 pratiche) da superare o contare su bonus limitati (le partite Iva). In cambio del loro fatturato perduto le aziende riceveranno quindi dei prestiti, che presto o tardi dovranno ripagare. Troppo poco per sostenere lo sforzo della ripartenza, e infatti il pessimismo si sta facendo strada.
Il Recovery Fund, la risposta dell’Europa
Ancora molte incertezze sulle prospettive di aiuti anche dalla Ue. I Recovery Fund ancora non sono lo “strumento innovativo” promesso, ma solo un’etichetta perché gli Stati non si sono ancora accordati. Saranno a fondo perduto? O linee di credito a tassi molto bassi, da ripagare a lungo termine? E quando saranno disponibili? A giugno, come dicono alcuni, o a gennaio 2021, quando potrebbe essere già troppo tardi per alcuni, Italia in testa? Per ora si sa solo che i Recovery Fund saranno collegati al bilancio europeo: poca cosa, perché non è altro che l’1% circa del Pil europeo. Di sicuro è presto per bocciarli come inutili ma anche per vantarsi di “aver vinto” la partita. Si tratta comunque di un passo avanti mai compiuto prima: la sospensione del patto di stabilità e lo stessa ipotesi di un fondo comune indicano che la UE si è ammorbidita. Il motivo è che l’emergenza colpisce tutte le economie, e una risposta di sistema fornisce migliori garanzie di uscire dalla crisi. E in questo compromesso l’Italia otterrà non quando spera, ma ciò che è realistico attendersi. Noi siamo nel mirino: i partner ci rimproverano di non sistemare i nostri problemi: siamo preda di inefficienza e di corruzione, evasione e malavita, non sappiamo valorizzare il turismo e spendiamo male i fondi europei... È come se ci stessero dicendo: “Noi vi diamo i soldi ma voi li usate male, e questo è un problema vostro. Però in questo modo voi diventate un problema per tutti”.
Un compromesso per salvare tutta la UE
La risposta della UE potrebbe muovere potenzialmente una quantità di denaro nell’ordine di migliaia di miliardi. Come abbiamo visto fa riferimento al bilancio europeo, che però è di dimensioni limitate: vale l’1% di quanto si produce in Europa. Rafforzare questo strumento richiede di “allargare” il bilancio andando sul mercato (come fa il ministero delle Finanze), prendendo denaro a prestito per metterlo a disposizione degli Stati. Se si raddoppiasse ad esempio il bilancio dall’1 al 2%, per finanziarci con strumenti più potenti, questi soldi come saranno distribuiti ai Paesi? Come sussidi a fondo perduto o come prestiti? Ecco il grande dubbio. L’Italia ha chiesto che ben 1500 miliardi siano sussidi a fondo perduto, puntando a ridurre il peso dei prestiti onerosi. La Germania si dice pronta a contribuire con più fondi, nell’intento di evitare rischi di tenuta della UE e al tempo stesso di scongiurare la crisi della propria economia. Per la prima volta la situazione è comune a buona parte dell’Europa e non tocca solo i Paesi più deboli. E la partita si giocherà su questa linea di compromesso.