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Sebastiano Zanolli – Mettiamocela tutta ma coltiviamo le alternative: può sempre andare male

Sebastiano Zanolli – Mettiamocela tutta ma coltiviamo le alternative: può sempre andare male

Sebastiano Zanolli – Mettiamocela tutta ma coltiviamo le alternative: può sempre andare male

 di Stefano Tenedini

Le certezze sono un lusso che non ci possiamo più permettere: il Covid-19 e la crisi economica ce lo stanno dicendo forte e chiaro. Tutti - aziende, manager e professionisti - dobbiamo essere “anti-fragili”, diventare rilevanti, coltivare la responsabilità individuale, avere una visione del nostro futuro, creare alleanze e prepararci al cambiamento. Ma diciamocelo chiaro: non tutti ce la faranno.

28/05/2020

Le certezze sono un lusso che non possiamo più permetterci. Steve Blank, imprenditore di riferimento delle lean startup nella Silicon Valley, lo spiega tutti i giorni, soprattutto ora in piena emergenza tra virus e post-virus. “È inconcepibile pensare che oggi si possa avere lo stesso modello di business di un mese fa”. Ma ci pensiamo mai? Oppure facciamo l’errore di credere che la vita e la carriera scorrano sui binari di un treno che non può deragliare? È il tema (“severo ma giusto”, si dice) che affronterà Sebastiano Zanolli, manager, speaker e scrittore, giovedì 4 giugno nel webinar Smart #Open di Vecomp Academy. Sul tappeto una riflessione da tenere a mente avvicinandoci alla fase della ripresa, ancora un po’ vaga ma reale. Da qui in avanti: responsabilità individuale, alleanze, visione per un futuro sereno.
 
Come li vedi gli italiani? Emergenza sanitaria infinita, in attesa di una crisi economica di cui non vediamo ancora la portata... Stiamo andando bene?
Non ho risposte che possano adattarsi a tutti. Vedo una reazione a macchia di leopardo, tra chi se la cava meglio e chi meno. Ma io non sono un guru né un profeta: lavoro e osservo i segnali legati al mio tema, che è la motivazione, come le persone reagiscono alle difficoltà o le anticipano. Oggi in Italia c’è chi è “antifragile” nel senso descritto da Nassim Taleb: chi lavora in settori che non risentono del momento di crisi, così come chi sa trarre vantaggio dalle incertezze e anche dagli errori. Per fare due esempi: il medicale ha dovuto reagire in fretta, e anche il food che si è attrezzato con il delivery facendo della necessità un metodo innovativo di servizio ai clienti. Ma nello stesso ambito altri soffrono, come la ristorazione, che richiede distanze e comportamenti sociali artificiali, sgraditi. E va in crisi chi stava bene grazie a un solo fattore competitivo: la realtà è cambiata e dimostra che stare appesi a un unico chiodo è rischioso. Prendiamo la moda: perché comprare vestiti se dobbiamo stare a casa e nessuno li vede? Per chi facciamo quegli acquisti? Ecco, questa è fragilità.

Un mondo all’insegna dell’incertezza, insomma. In cui nessuno possiede il libretto delle istruzioni per cavarsela e il lieto fine non è garantito.
Sarà un mondo diverso, ma non per tutti e neanche allo stesso modo. A fare la differenza, come prima ma molto più di prima, sarà la tua rilevanza. Non quanto vali, ma qual è il tuo valore aggiunto. Una disparità che sta scavando un solco già adesso tra chi si chiede come saranno le vacanze e chi rischia la povertà e si domanda se i propri figli avranno un futuro. Quindi oggi ognuno per la sua parte deve reinventarsi la propria rilevanza. Un tempo tu eri quello che eri e basta: un operaio, un impiegato, un professore. Ora che non c’è niente di garantito, sei tu che devi disegnare la mappa e prendere la direzione che scegli. Faccio un esempio: la rilevanza del fruttivendolo non sta nell’essere un negoziante di alimentari, ma nella sua capacità di fornire un servizio che la clientela apprezza. Attenzione: che rimanga in attività oppure no non dipende dal prezzo, ma dalla capacità di rappresentare un valore per chi acquista. E così scopri che se il mercato non ti compra più, se ti butta fuori, spesso è perché eri già fragile. La crisi in altre parole accelera il processo, dimostra nel bene e nel male quello che eri. È un’alchimia complessa. E no, non tutti ce la faranno.

In un modo o nell’altro, Covid-19 e crisi ci costringeranno a cambiare per sopravvivere. E quale sarà la trasformazione più impegnativa?
La sfida dopo la pandemia, o meglio la lezione che dovremo apprendere, sarà smettere di credere che possiamo fare a meno degli altri. Lo si vede anche da come il mondo risponde all’emergenza: sappiamo che dovremmo collaborare per gli aiuti urgenti o il vaccino, ma è in atto una competizione per la leadership globale. Lo scontro di narrazioni è una specie di replica della guerra fredda, e saranno i Paesi che reagiranno più efficacemente alla crisi a guadagnare terreno. Perfino Henry Kissinger ha messo tutti in guardia usando parole forti: nessuno può affrontare questa situazione da solo. Per questo per affrontare i problemi del momento occorrono una visione comune e dei programmi globali di collaborazione.

E ne esce un messaggio chiarissimo: se non riusciremo a fare le cose davvero importanti tutti insieme, dovremo affrontare il peggio da soli.
Possiamo anche tracciarne un parallelismo anche in campo imprenditoriale: le aziende e i professionisti non stanno soltanto cercando di sopravvivere, ma sono anche consapevoli di doversi ritagliare un futuro davvero rilevante, in un mondo e in un mercato in cui molti perderanno terreno e saranno destinati a rimanere fuori dai giochi. La collaborazione sarà quindi fondamentale. Lo ricordavano Renzo Rosso e Diego Della Valle, discutendo in questi giorni di come fare sistema. Rimanere isolati prima di tutto è una visione anacronistica, in cui sopravvive il più forte, in cui per vincere è necessario sopraffare il nemico, non importa quale sarà il destino degli altri. Ma la storia ci insegna che gli altri siamo sempre noi, ancor più in un momento in cui possedere una rete di relazioni fa davvero la differenza.

Infatti tu spieghi che per garantirsi un futuro è necessaria la responsabilità individuale, ma anche avere una visione e saper costruire alleanze.
La versione breve è questa: “Era meglio pensarci prima”. E non è una battuta: voglio dire che occorre pensare adesso al “dopo” che verrà. Altrimenti vorrà dire che la crisi non ci ha insegnato proprio niente: né l’importanza di investire sulla sanità, di avere rapporti con i vicini, accettare di collaborare. E quindi la prossima pandemia ci colpirà allo stesso modo, visto che anche questa era prevedibile e prevista. Cosa fare? Devo essere consapevole di che cosa devono fare gli altri, far notare se qualcuno fa mancare il proprio contributo, ma intanto dare il mio. Il buonsenso va bene, ma devo darmi da fare, e non solo in quello che mi piace ma in quello che va fatto. Un nuovo approccio che deve essere degli imprenditori ma anche dei dipendenti, perché il mondo sta cambiando per tutti. Così potrò rispondere alla nuova domanda chiave: ci sarà ancora bisogno di me? che cosa posso fare?

Che spazio assegni invece alla visione? Nella cultura d’impresa è un po’ la destinazione cui tendere, il traguardo di tutta la tua attività.
Avere una visione è forse la cosa più importante, anche se molti non saprebbero neanche come definirla. Dovrebbe esserlo sempre: anche per partire, e non soltanto per ri-partire. Non deve essere soltanto un obiettivo. Credo che la visione risponda a scopi diversi: ti fa capire, ti dice - e ti aiuta a spiegare - chi vuoi essere o cosa vuoi avere fra qualche anno. La visione è quel “perché” che ti mostra il “come”, che ti fa sopportare la strada necessaria per arrivarci. Come Cristoforo Colombo che voleva arrivare in Oriente, ma si era convinto che la via migliore fosse passare dall’Occidente. Quando ti proietti nel futuro puoi vedere a ritroso cosa devi fare oggi. Per agire al meglio dobbiamo tenere separate le speranze e la verità: una cosa è come dovrebbe essere il mondo o come vorremmo che fosse, ben altro è come dobbiamo agire nel mondo reale. Se non altro questo virus ha la caratteristica di fregarsene delle opinioni: ci mette di fronte a delle scelte che sono solo nostre.

In questo periodo a molti sembra che la vita ci stia chiedendo: ce l’hai una exit strategy? E il tuo ultimo libro è dedicato proprio alle “Alternative”.
Avere una soluzione di scorta è sempre utile, mica solo adesso. Tenersi sempre pronta una scelta alternativa è come dire a se stessi “aspiro al meglio ma mi preparo al peggio”. Vedi, il mondo reale di cui parlavo prima è governato da tre C: caos, caso e cattiveria. Poi ce ne sarebbe una quarta, nota in Italia come “fattore C”... Il punto è che siamo in un ambiente socio-economico competitivo: di fronte a problemi od opportunità scatta la competizione e il migliore si afferma. E come nello sport può esserci un giocatore falloso e uno leale, ma vince chi segna, non il più corretto. Per decidere in cosa e a chi credere bisogna avere una mappa alternativa. E le alleanze, la rete, sono il combustibile adatto: conoscere e coltivare i rapporti con gli altri ti arricchisce, ti dà stimoli e vantaggi culturali. Prendiamo le sardine e gli gnu: insieme si difendono e sopravvivono. Il punto è che questo noi lo sappiamo, ma ce lo dimentichiamo. L’evoluzione ci ha donato intelligenza, fantasia, intuizione e il pensiero astratto, ma ci ha tolto la velocità della preistoria, oppure muscoli e artigli. Ora diamo per scontate troppe cose: perché non consideriamo mai l’ipotesi che la pensione possa anche non arrivare? Pensarci prima e crearsi delle alternative. Vuole dire che può andarci male, nonostante competenza, impegno e volontà. E dobbiamo esserne consapevoli.

 
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