Cosa ha comportato l’emergenza sanitaria nella riorganizzazione del lavoro? Che metodi avete adottato?
Dal punto di vista operativo abbiamo ridotto la presenza fisica, con la chiusura pomeridiana per limitare i contatti. La maggior dei clienti ha operato da remoto, ma per esigenze importanti alcuni vengono in banca. Abbiamo anche ridotto l’organico impegnato, sia utilizzando le ferie che adottando lo smart working per alcuni colleghi, soprattutto amministrativi, oppure dislocandoli in filiali più vicine a casa.
Che cosa è cambiato nella relazione tra le persone nei tempi, nei modi, negli obiettivi?
La sfida vera è psicologica, perché il problema non è rappresentato dall’operatività in sé: è il contenuto della relazione che non è più quella di prima. Telefono e mail bastano per le pratiche ma non per ragionare su analisi e prospettive. Non parlo solo del valore simbolico della stretta di mano, ma guardarsi in faccia permette di modulare il dialogo meglio di quanto non consentano una mail o una chiamata. Sul lato delle imprese molti investimenti sono stati ovviamente rimandati, perché nessuno ha fretta e ci si concentra maggiormente sull’emergenza liquidità. I privati e i risparmiatori vivono il momento con ansia, a volte eccessiva ma umanamente comprensibile: spieghiamo i meccanismi della finanza evitando “fughe in avanti”, ma non è facile senza i riferimenti sensoriali del linguaggio non verbale. È il limite di dover garantire il miglior supporto avendo però minore possibilità di gestire l’emotività.
Come avete spiegato ai clienti che c’eravate - con servizi e supporti - anche in un momento difficile?
Anche se l’operatività era garantita occorreva un cambio radicale nell’approccio. In questa fase ci hanno sostenuto le attività di “formazione” e informazione abitualmente svolte con i clienti. Abbiamo sviluppato la buona abitudine di chiamare noi i clienti prima che lo facessero loro, per coinvolgerli nella comprensione del momento ma anche per presentare nuove opportunità da cogliere. Va bene ridurre il servizio, ma non potevamo sparire, perché abbiamo un impatto sulla vita delle persone e delle aziende. Noi ci siamo stati e lo abbiamo comunicato a tutti via home banking e sui canali diretti. C’erano poi iniziative che nella fase di emergenza sanitaria hanno assicurato serenità, come i bancomat gratis agli over 65, il prelievo consentito da qualsiasi sportello o le donazioni a supporto delle strutture sanitarie.
Provi a sintetizzare con qualche esempio che cosa vi siete trovati a fronteggiare insieme ai clienti.
Un approccio apparentemente banale ma efficace e concreto: ascoltare tutti e non nascondersi. È stato tutt’altro che semplice perché la tempesta di decreti ha creato confusione anche tra noi operatori: annunci in tv la sera senza la possibilità di essere operativi il giorno dopo, procedure mai previste prima, come il prestito in 48 ore, nessuno che ci avesse interpellato né coinvolto preventivamente come sistema bancario. I clienti hanno reagito con buon senso nonostante qualche tensione e ce l’abbiamo fatta, come confermano i numeri. Come area di Verona, provincia e zone limitrofe, un totale di 13 filiali, abbiamo gestito in due mesi circa 420 pratiche di prestiti dei famosi 25 mila euro, erogando oltre 8 milioni di euro. È stato complicato perché la struttura in poche settimane ha superato un’emergenza mai affrontata prima, oltre al resto della normale operatività, con il medesimo personale. Anzi, con qualcuno in ferie e altri in smart working.
Il pubblico ha apprezzato il vostro impegno? Siete riusciti a mantenere buoni livelli di efficienza?
I nostri clienti hanno riconosciuto e gradito il nostro lavoro. Hanno notato che a differenza di altri che erano aperti solo in alcune filiali e qualche giorno, noi pur essendo formalmente chiusi se non per appuntamento eravamo sempre disponibili e non li abbiamo lasciati da soli. Siamo stati, se posso permettermi la battuta, un pronto soccorso per famiglie e imprese del territorio. Mentre in generale al sistema bancario sono state attribuite anche colpe non sue e non è stato nemmeno riconosciuto l’impegno... Guardando avanti, vado un po’ controcorrente ma non credo che il futuro sarà dei rapporti online. Sono convinto che quando sarà possibile interagire dal vivo avremo risultati migliori: per cultura noi italiani (clienti e operatori) preferiamo il contatto diretto. Direi che dover fare a meno dei rapporti umani ha reso evidente il loro valore. Gestire una pratica online è stato necessario nell’emergenza, ma c’è la voglia di tornare “dal vivo”: quel che conta è restare vicini. Nel nostro ruolo dobbiamo ricordarci che un cliente con un problema non è un problema, ma è una persona con una famiglia, un’azienda, dei dipendenti: quel cliente porta in banca tutta la sua vita.