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Intervista a Paolo Gubitta - Sfide, strategie e obiettivi: ripensiamo il futuro delle imprese

Intervista a Paolo Gubitta - Sfide, strategie e obiettivi: ripensiamo il futuro delle imprese

Intervista a Paolo Gubitta - Sfide, strategie e obiettivi: ripensiamo il futuro delle imprese

 
di Stefano Tenedini

“Come” riaprire le aziende farà molta differenza tra una rapida ripresa e una lunga recessione. Dal digitale all'innovazione, dai tempi agli spazi del lavoro, dai modelli di leadership alla misurazione delle performance, potrà essere un momento decisivo per affrontare il cambiamento nelle nostre organizzazioni.

14/04/2020

Mentre l’Italia guarda con il fiato sospeso alle curve dei contagi e dei decessi, vero e proprio bollettino di guerra dell’emergenza Covid-19, non possiamo non osservare con apprensione l’assenza di indicazioni verosimili e di tempi certi per la cosiddetta “fase due”, quella della riapertura delle attività economiche, commerciali e produttive. L’ipotesi di un crollo del Pil per il 2020 è ormai purtroppo una realtà con la quale dovremo fare i conti, e un lockdown di medio-lungo termine per molte aziende potrebbe significare non riaprire più, con danni gravissimi per il tessuto economico, occupazionale e quindi sociale.

In attesa di capire chi, come e quando ripartire in sicurezza, si può però cogliere l’occasione per ripensare ai modelli aziendali cui siamo abituati, per immaginare come migliorarli anche grazie (per quanto sembri paradossale) alla lezione della crisi che stiamo attraversando. Ci aiuterà a capirlo, nel primo appuntamento di Smart #Open, webinar in programma domani giovedì 16 aprile alle 18:30, il prof. Paolo Gubitta, docente di Business Organization and Entrepreneurship all’Università di Padova, oltre che direttore scientifico dell’Osservatorio delle professioni digitali. Ecco come ci ha anticipato i temi del webinar.

Il virus ci ha obbligato a ripensare i nostri modelli di lavoro. Sarà questo il vero Anno Zero per l’impresa digitale?
Sarà l’Anno Zero solo per le aziende che hanno già fatto investimenti indirizzati a ridisegnare i processi interni e a far crescere la tecnologia e la formazione delle persone. Digitalizzare i processi infatti è solo parzialmente una questione di tecnologia, mentre è molto di più una questione di organizzazione: la prima si compra oppure la si affitta (on demand, cioè in base alle esigenze), invece la seconda la si deve creare attraverso azioni deliberate e costanti che coinvolgano tutte le maestranze e, a volte, anche gli stessi clienti e fornitori.

Come verranno coinvolte le persone nella riorganizzazione e nel cambiamento?
Cambierà il modo di lavorare delle persone nelle aziende. Questa emergenza ha sdoganato il lavoro in remoto, dimostrando un paio di cose. La prima è che le aziende preparate non hanno avuto difficoltà ad avviare processi di smart working. Il che significa, almeno a grandi linee, la capacità di ridisegnare i processi, di strutturare il carico di lavoro per obiettivi e con autonomia, di accettare un livello di fiducia reciproca, anche da parte della linea intermedia.

Quali competenze saranno prevedibilmente più adatte e più richieste?
In uno scenario come quello futuro emergerà in tutta la sua importanza quello che è stato definito lavoro ibrido, in cui competenze di mestiere – tecniche, gestionali, professionali – si combinano con quelle digitali e relazionali. Tra queste ultime assumeranno un’importanza particolare le cosiddette competenze personali, come ad esempio la consapevolezza di sé, l’autocontrollo e la capacità di organizzare il tempo, nel duplice senso di saper gestire il tempo di lavoro ma anche il tempo della famiglia. Risulta già oggi evidente come non avere queste competenze rischi di trasformare il lavoro in remoto in un problema per la persona, per la sua famiglia e per la produttività dell’azienda.

L’emergenza ci spingerà a elaborare nuovi criteri per organizzare il lavoro?
Il secondo elemento che l’emergenza virus ha fatto venire a galla è l’importanza dello spazio organizzativo. Il più immediato è quello che riguarda le “stanze” della vita quotidiana, nelle quali all’improvviso milioni di persone si sono trovate a lavorare: spazi pensati per usi diversi da quello professionale, che non possono reggere alla prova del tempo, nel senso che vanno necessariamente ripensati o adattati rapidamente a un uso promiscuo, in cui coesistano la vita familiare e quella professionale. L’altro spazio che andrà riconsiderato è quello interno alle imprese. Quando riprenderemo a lavorare avremo necessità di “spazi” più ampi, e ciò potrebbe voler dire ripensare layout fisico, orari di lavoro e anche la performance.

Verso quale scenario si orienterà l’organizzazione del lavoro nella fase di ripresa?
È verosimile che il percorso verso la normalità sarà necessariamente lento, e implicherà un allungamento dell’arco di impegno abituale su almeno sei, o addirittura su sette giorni alla settimana. Nella scuola, ad esempio, questa ipotesi è già stata formulata. Ci sarà poi una ridefinizione del rapporto tra i capi e le maestranze, nel senso che – per non moltiplicare il numero delle figure di coordinamento presenti in azienda nei vari turni – sarà necessario far crescere il livello di autonomia delle persone e di conseguenza prevedere una maggiore responsabilizzazione. E siccome non ci si riesce in un battibaleno, anche questo allungherà i tempi. Quindi bisognerà ripensare ai modelli di misurazione della performance, lavorando per attività e obiettivi.

Inevitabile che si modifichi anche il modello di leadership di imprenditori e manager.
La sola cosa certa è che le figure al vertice delle aziende dovranno convivere con ambienti organizzativi in cui il controllo “a vista” o la presenza non saranno più possibili con la stessa frequenza. Per questo la leadership dovrà essere più coinvolgente, e la capacità di fornire gli indirizzi e appassionare il proprio team si manifesteranno con modalità diverse da quelle usuali. Se il controllo conterà meno, sarà molto importante avere accesso alle competenze e poter contare sull’impegno delle persone. Questa esigenza è estremamente urgente oggi e sarà meno rilevante con il graduale ritorno alla normalità: ma una volta sperimentata sarà impossibile ritornare al modello precedente. L’elemento critico per imprenditori e manager sarà gestire la delicatissima fase di prima sperimentazione, perché è noto che le esperienze di cambiamento, se non partono con il piede giusto, faticano a decollare.

Nel Nordest molte imprese sono familiari: questo le avvantaggia o indebolisce?
Rispetto all’emergenza sanitaria in corso la specificità dell’impresa a proprietà familiare è irrilevante. Esiste però un punto nel quale proprio tale caratteristica può fare la differenza. Alle imprese familiari, infatti, viene tradizionalmente riconosciuta la capacità di avere un orientamento di lungo periodo, di avere “pazienza”, di avere molto a cuore il territorio e la comunità di riferimento, di farsi carico delle istanze sociali. Inoltre, a dire il vero, già durante la crisi che ha seguito il crack del 2008 le imprese familiari italiane avevano dimostrato di essere resilienti. E non solo come aziende, ma anche di essere guidate da persone capaci di trasformare questa resilienza individuale in una resilienza organizzativa, in tutte le parti del nostro Paese, dai territori industriali fino alle aree urbane. Questa volta la crisi sarà diversa e per superare le difficoltà e logistiche non basteranno le consuete competenze: eppure un orientamento al medio termine potrà comunque avere un effetto positivo.

Tecnologia, innovazione, internazionalizzazione: saranno vantaggi per ripartire?
Normalmente la risposta sarebbe favorevole, perché sono punti di forza. Nel caso attuale dipenderà molto dal tema delle filiere, un elemento molto complesso e sfaccettato. Il senso è che l’azienda inserita in una filiera con la sua principale clientela ad esempio in Germania, potrebbe trovarsi di fronte a seri problemi se si trova in un territorio dove il lockdown va avanti a lungo, perché nel frattempo la Germania procede senza fermarsi... L’altro tema è il tempo: sempre restando allo scenario di filiera, se quella di cui fai parte include Paesi in cui i tempi di lockdown non sono coordinati con i tuoi, si ripresenta lo stesso problema, perché si rischia di essere sostituiti da altri fornitori. C’è infine il caso delle aziende multiplant, cioè organizzate su diversi impianti produttivi, che finché possibile possono gestirsi meglio.

Che azienda uscirà dall’emergenza sanitaria, economica, organizzativa e relazionale?
Avevamo dimenticato – legittimamente, da un certo punto di vista – il rischio come variabile da inserire nell’elaborazione della strategia aziendale. Il solo rischio che consideravamo era quello economico e finanziario, che si poteva coprire con forme moderne di assicurazione. Invece il rischio sanitario, che dipende da molteplici fattori che sfuggono quasi interamente al controllo non solo delle imprese ma perfino degli Stati, è meno prevedibile e richiede la maggior collaborazione possibile tra aziende, società e Paesi. La difficoltà di raggiungere un obiettivo così complicato è sotto gli occhi di tutti e ovviamente inciderà sul risultato.