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Francesco Costa
California, terra promessa in crisi. Ma esporta in Texas l’american dream

Francesco Costa <br> California, terra promessa in crisi. Ma esporta in Texas l’american dream

Francesco Costa
California, terra promessa in crisi. Ma esporta in Texas l’american dream

Un sistema sociale che non funziona più, la classe media e gli studenti ridotti a dormire per strada o in auto, istruzione sempre più livellata in basso, clima apocalittico con incendi alternati a uragani, terremoti… E fra i tanti problemi della California anche il dominio dei militanti democratici, che blocca e rende inefficienti le istituzioni a causa di un eccesso di politicamene corretto. Oggi il Golden State delle libertà e delle opportunità mostra la corda, e molti abitanti fanno le valigie. Ma dove emigrano? Soprattutto negli stati del Sud agricoli e conservatori, dove grazie al “trapianto” californiano e al buon senso locale le cose iniziano a cambiare. Il sogno insomma trasloca, ma resta vivo e vegeto.

Testo di Stefano Tenedini

Doverosa premessa: la California non sarà più il paradiso di un tempo, ma non è diventata un inferno in terra. Problemi ce ne sono eccome, da un sistema sociale in profonda crisi al clima impazzito, dal rischio perenne dei terremoti a una classe media ridotta a dormire per strada, fino alla politica che non aiuta nemmeno i più bisognosi che dice di voler tutelare, almeno quando ci sono le elezioni. In compenso l’economia tira come un trattore, con gli imperi del digitale concentrati a San Francisco, tanto che se fosse una nazione la California sarebbe la quarta potenza mondiale. Ma fatte le somme e le sottrazioni, i californiani non ci stanno e se ne vanno: e così facendo stanno cambiando il volto dell’America.

Questa della California è la dimostrazione di come una crisi non affrontata né risolta tenda a generarne altre, che pian piano (o anche all’improvviso) diventano sistemiche, e alla fine si trasformano in un’emergenza. Che ci tocca tutti, nel profondo, senza sconti: lo vediamo in Europa e nel mondo con l’energia, le tensioni internazionali, le migrazioni e il calo delle nascite, solo per fare qualche esempio. Per questo Vecomp Academy ha scelto di dedicare la stagione 22/23 del ciclo di incontri Open a “Crescere dentro le emergenze”: perché, ha spiegato il responsabile comunicazione di Vecomp Francesco Masini, “le emergenze sono la nuova normalità: non possiamo aspettare che passino e ricominciare come prima, e non possono né devono fermare l’impresa e la sua crescita”.

L’ultimo libro di Francesco Costa, giornalista, vicedirettore de Il Post ed esperto di politica e stile di vita americana, è dedicato proprio alle crisi della California che stanno mettendo in dubbio l’immagine di terra promessa che ne avevamo. Punto di partenza ideale, quindi, per il compito che Academy si è data con Open che oggi è diventato il Festival della cultura d'impresa: innestare i grandi temi globali che attraversano la società nella vita quotidiana delle aziende e del territorio. Ricordando che Vecomp s’è evoluta in SB - Società Benefit, Masini ha definito “un obiettivo e un approccio mentale” il fare cultura per chi lavora. La California insomma come un paradigma di trasformazione, di crepe che si aprono ma dalle quali a volte può anche filtrare la luce di nuove opportunità. Raccontata con lo stile degli ospiti di Open: spiegare bene le cose, in modo semplice, gradevole e non banale.

Davanti alle 250 persone che hanno riempito la sala convegni di Eataly, scelta proprio per l’affollata anteprima di Open, Costa ha ricordato che la California è il pezzo più importante di quello che consideriamo il “sogno americano”. Il cinema, la televisione, i social media, i computer, gli smartphone sono nati lì, insieme a moltissima tecnologia che ci ha cambiato la vita. Tutti nati, progettati, cresciuti, diventati indispensabili nella Silicon Valley, un pezzo di terra che racchiude l’anima della California. Il Golden State si sta trasformando, e il suo cambiamento interessa anche noi perché ci descrive il futuro. Se ne vanno i discendenti di chi arrivava seguendo un sogno, le libertà, i diritti civili, l’oro, la terra... Era il “Far” del Far West, quella mescolanza di opportunità e avventura che per un secolo e mezzo ha attratto gente da tutto il mondo, che ha trasformato la frontiera in un luogo in cui tutto era libero e possibile. Dobbiamo capire perché da qualche anno tanti californiani lo lasciano.

La prima risposta è perché il sogno si è molto appannato e di opportunità ce ne sono altre. Chi trasloca segue le occasioni là dove si stanno manifestando: soprattutto in Texas, o in Arizona, nel New Mexico, stati in fortissima crescita che i californiani stessi contribuiscono a loro volta a trasformare. E non fuggono per i redditi bassi o dalla disoccupazione: anzi, la crescita economica prosegue. Ma vanno dove il loro reddito permette una vita migliore e più serena. Se ne vanno perché da ormai da vent'anni a questa parte la classe media si sta impoverendo, perché c’è gente che pur avendo un lavoro fisso finisce a vivere per strada anche solo perché l’affitto aumenta. Il viaggio nella California di oggi tocca molti problemi che non sono estranei neanche agli europei: un drammatico piano inclinato sociale.

I senzatetto sono persone come noi, che le hanno provate tutte ma poi non ce la fanno più a reggere. Basta poco: lo studente che non può pagare l’università e l’affitto, quindi dorme in auto o in ricoveri di fortuna; l’auto che si che si guasta e non puoi più andare a lavorare in una città enorme e scomoda come Los Angeles; le case che costano troppo e comunque non ci sono per tutti… Aggiungiamoci un’emergenza climatica di dimensioni apocalittiche, con incendi devastanti che distruggono le foreste in cui si costruiscono case alla portata di chi non può permettersi di stare in città. Un incubo. Aggravato da temporali che diventano uragani pure là dove non ci sono mai stati, o l’onnipresente rischio di terremoti che rende una scommessa anche solo vivere in California. Sfide che non tutti possono superare.

E ci sono anche problemi di ordine politico e istituzionale, come un sistema scolastico che abbandona progressivamente il merito per ricercare compromessi sempre più al ribasso – in nome dell’inclusione dei ceti sociali poveri – con il risultato di rendere la scuola pubblica sempre peggiore. Perché è un tema politico? Perché le istituzioni sono da sempre in mano al Partito Democratico: un eccesso di stabilità che genera immobilismo, autoreferenzialità e inefficienza amministrativa, aggravando il problema. Quanta parte ha il predominio Dem nella crisi della California? E quanto incide l’ansia del politicamente corretto nel bloccare i cambiamenti – anche positivi – e nel chiudersi dentro bolle che di fatto escludono gli altri?

Secondo Costa, al di là di scelte e comportamenti corretti in sé, il sistema è andato in crisi perché la predominanza democratica ha spento il dibattito politico. Una competizione che è dominata non dal pensiero ma dalla pressione dei più militanti, diventando una sfida che vede prevalere gli attivisti che si atteggiano a puri e ortodossi interpreti del politicamente corretto, che “vietano” certi termini e vogliono imporre a tutti i modelli che considerano giusti. Un pensiero praticamente unico, che si avvicina a un incubo orwelliano.

Le elezioni non si vincono con le idee ma con slogan sempre più estremi, danneggiando le stesse fasce sociali che si vorrebbero tutelare. L’attività politica e amministrativa diventa un modo per fare la lista dei buoni e dei cattivi, spesso con risultati aberranti. Chi vorrebbe costruire ricoveri per i senzatetto, almeno per ospitarli al caldo, viene isolato dai militanti Dem perché “no ai ricoveri, bisogna costruire le case”: ma siccome le case non si possono fare, allora non si fanno neanche i ricoveri. E i poveri restano per strada. Questo loop fa sì che anche i progressisti siano spinti ad andarsene dove magari bisogna lavorare sui diritti, ma almeno buon senso e ragionevolezza funzionano meglio della purezza ideologica.

Il sogno californiano si rimette in marcia, fedele alla tradizione che vede gli americani non privi di radici, ma capaci di trapiantarle dove possono continuare a cambiare e a crescere. La nuova bussola indica in prevalenza gli stati del Sud, noti per essere da sempre roccaforti agricole, conservatrici e repubblicane, popolate di generazioni di pionieri con un approccio magari semplice e rigoroso, ma anche efficace nell’affrontare i problemi della vita sociale. Quindi meno inclini a perdersi in chiacchiere su cosa fare, preferendo farlo. E nei territori conservatori l’arrivo dei californiani, quasi sempre progressisti, cambia lentamente ma con costanza il modo di essere e pensare: infatti crescono anche i consensi ai Dem. Certo, il costo della vita aumenta, ma salgono anche l’occupazione e le aziende innovative. Anche se esportato dalla California, insomma, il sogno americano gode di ottima salute. Sapremo noi italiani ed europei fare tesoro di questa flessibilità per un nuovo modello di sviluppo?

A Costa il pubblico ha poi rivolto un’infinità di domande, la maggior parte incentrate sulle elezioni di MidTerm che si sono appena svolte. È stata l’occasione per un’analisi di quanto sta accadendo soprattutto tra i repubblicani, con l’exploit di Ron De Santis (il governatore della Florida rieletto con un ottimo risultato) che potrebbe insidiare un possibile tentativo di ricandidatura di Trump alle presidenziali del 2024. Il vicedirettore del Post ha spiegato che la situazione è ancora molto fluida, come dimostra anche la crescita dei repubblicani tra gli uomini non bianchi, finora saldamente democratici. Saranno due anni interessanti!