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Erika Brentegani: il virus e l’equilibrio tra vita e lavoro, la sfida da non perdere

Erika Brentegani: il virus e l’equilibrio tra vita e lavoro, la sfida da non perdere

Erika Brentegani: il virus e l’equilibrio tra vita e lavoro, la sfida da non perdere

 di Stefano Tenedini

Stiamo uscendo da un’emergenza sanitaria per affrontare quella economica. Ma può e deve essere un’occasione per ripensare (e organizzare) una migliore conciliazione tra famiglia e professione e tra persone e imprese. E cambiare si può, ripartendo dalla rete di relazioni che si crea nell’ecosistema dell’azienda: i valori, le idee e i comportamenti concreti, che sono fili invisibili ma fortissimi.

25/05/2020
 
 “L’armonia nel senso più ampio del termine, riferito a uno stile sia di lavoro che di vita, può nascere solo dalla conoscenza e dall’ascolto di sé, delle proprie caratteristiche, delle proprie competenze, di ciò che ci fa star bene oppure male, che crea tensioni interne e frustrazione, senso di inadeguatezza e di insoddisfazione. Costruire l’armonia richiede di andare molto in profondità, per poter raggiungere risultati a medio e lungo termine”. Tempo del lavoro e tempo della vita, noi e gli impegni, l’azienda e la famiglia.

L’eterna ricerca di un equilibrio che in questo momento di incertezza dovuto all’emergenza sanitaria per il Covid-19 (e ora alla crisi economica) ci sembra quasi impossibile trovare. Ma rinunciare non si può e non si deve. Ne abbiamo parlato con Erika Brentegani, che come consulente di Work life balance & Smart working, oltre che specialista di Family audit e Family business, coach e trainer, accompagna le aziende in un processo che punta a creare armonia tra vita personale, familiare e professionale, migliorando così i risultati aziendali.

L’intervento di Erika Brentegani e Luca Marcolin, previsto tra gli eventi #Open di Vecomp Academy, ci avrebbe introdotti al bilanciamento non sempre facile tra lavoro, imprese e famiglia (ma che è basilare per le performance aziendali) e alla conservazione del sapere e del saper fare, un patrimonio italiano e un passaggio fondamentale per un contesto sociale attento alle persone di ogni età e condizione. Sono aspetti tutt’altro che lontani fra loro, che vanno visti con sguardo d’insieme e approccio sistemico, perché non siano solo un dettaglio organizzativo ma un elemento decisivo a sostegno del business.

Il virus ha scombussolato i tempi del lavoro e della vita: con che conseguenze su tutti noi?
In questi mesi l’emergenza Coronavirus ha cambiato tutti i piani. Parlare di conciliazione tra vita e lavoro alla vigilia di una crisi economica di cui ancora ignoriamo le conseguenze a lungo termine potrebbe sembrare anacronistico: molti di noi sono rimasti a casa, alcuni ora lavorano e altri no, molti hanno figli in età scolare e fanno lezione online, i più piccoli hanno bisogno di essere affiancati dai genitori, tutti indistintamente abbiamo più tempo per stare assieme. Ma pur essendo stato e rimanendo ancora un momento per godersi la reciproca compagnia, è difficile individuare uno spazio adeguato per svolgere le proprie attività, soprattutto per chi ha spazi limitati, e anche per ritagliarsi un periodo di silenzio.

Esiste un metodo per valutare quanto, come aziende e persone, stiamo vivendo o meno in equilibrio?
In questo momento non è immediato armonizzare vita e lavoro, perché non è soltanto un tema di tempo e di spazio. Ma ci sono esperienze e modelli che permettono di sperimentare equilibri nuovi. Esiste ad esempio un metodo solido e collaudato per lavorare sulla conciliazione vita-lavoro in azienda. Questo metodo - che è anche una certificazione - si chiama Family Audit, uno strumento elaborato dalla Provincia Autonoma di Trento, che ne detiene la proprietà in una partnership con il Dipartimento delle Politiche familiari della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Un percorso al quale Vecomp ha aderito con entusiasmo. Come funziona in pratica?
Vecomp è stata una delle prime aziende venete ad aderire al progetto di certificazione, nella consapevolezza che le persone sono una ricchezza da salvaguardare e per creare una nuova cultura delle relazioni. Nella pratica, il Family Audit parte da una dettagliata raccolta di dati sulla “popolazione aziendale” (età, genere, qualifica, flessibilità, permessi, straordinari, malattia e carichi di cura - cioè quanti figli, di che età ed eventuali familiari bisognosi di cura) e poi analizza i processi di lavoro attraverso vari macro-ambiti: orari, flessibilità, carichi di lavoro, permessi, ferie, luoghi di lavoro, smart working.

Quali elementi vengono valutati, e su quali aspetti è necessario intervenire in azienda?
“Nel processo si osservano la cultura aziendale, la formazione del management e dei lavoratori, e la comunicazione sia all’interno che verso l’esterno. E poi si lavora su tutto ciò che è welfare aziendale e territoriale, sulla tecnologia e sugli strumenti informatici necessari a migliorare i processi di lavoro. La certificazione permette di definire obiettivi e azioni mirate a raggiungerli, con tempi definiti e persone da coinvolgere. Ci sono specifiche figure professionali che accompagnano il processo e verificano le trasformazioni alle scadenze definite. Ciò garantisce che attività importanti non siano lasciate in secondo piano e un po’ per volta si costruisce un solido supporto per il core business dell’azienda. Poi di anno in anno si valuta l’evoluzione, il che aggiunge valore al progetto perché così si misurano i progressi e si verifica periodicamente che l’obiettivo sia stato raggiunto. E aiuta anche a rimanere allineati alla vision e accelerare la riorganizzazione.

Accompagnare le aziende in questo percorso può aiutare le persone nella fase di uscita dall’emergenza Covid-19 e nella ripresa?
Sì, perché l’obiettivo è lo stesso. Ogni azienda, in altre parole, è composta dall’insieme delle persone che ne fanno parte. Ci sono imprese che hanno fermato l’attività e altre che hanno continuato a lavorare e a erogare servizi, ma in modalità completamente diverse. Ci sono persone che si sono ritrovate dall’oggi al domani, magari dopo trent’anni di impiego passati in ufficio, a operare tutti i giorni da casa: alcuni erano già preparati a questa novità, altri per nulla. Quindi la domanda è: in questo momento come si sostengono davvero persone e aziende, e cosa permetterà di resistere finché il periodo del virus non sarà finito e saremo in grado di fronteggiare i problemi portati dalla crisi economica? Perché oggi la tecnologia è più importante che nel passato, ma non è l’unico fattore.

E qual è la risposta che si può dare? Che cosa lega un’azienda e le sue persone?
Le reti di relazioni che le permeano: fili invisibili eppure forti come corde d’acciaio. Noi definiamo “valori” le idee e i comportamenti concreti. Mentre le cattive relazioni minano il buon funzionamento e la produttività aziendale, c’è qualcosa di molto solido che sorregge alcune aziende e continuerà a farlo: i pilastri e le fondamenta che alcune realtà trasmettono al cuore delle persone e ai meccanismi aziendali. Sono il senso di appartenenza, la passione, la responsabilità, la condivisione, la fiducia e il rispetto reciproci. Allo stesso modo, come avviene nelle famiglie, in un momento difficile le relazioni solide sostengono le imprese, purché economicamente salde, e le traghettano fuori dal caos.

Su quali punti di forza dovremmo puntare in futuro per cambiare il nostro atteggiamento?
Nei periodi di crisi questo paradigma risalta nelle aziende di famiglia, che rimangono forti grazie a fattori chiave come resilienza, tenacia, orgoglio e impegno verso la comunità in cui sono inserite. Sono questi i loro punti di forza. È possibile che dopo queste fasi molte cose cambieranno, ce ne accorgiamo già ogni giorno. Ed elementi che consideravamo secondari, come l’inquinamento, stili di vita inadeguati, sostenibilità o realizzazione di un’economia circolare dovranno diventare prioritari, per non ritrovarci a vivere ancora un’esperienza così difficile nel futuro. E chi si prepara come ai blocchi di partenza, per ricominciare a fare tutto come prima, credo debba riconsiderare la propria visione.

Può esserci un nesso tra il virus e uno stile di vita che appare sempre più insostenibile?
Perfino la virologa Ilaria Capua ha sottolineato come in Italia molte delle vittime del Covid-19 soffrissero già di altre patologie come cardiopatia, diabete, obesità, immunodepressione o altro. Ovviamente ciò non rende la situazione meno grave, ma ci mostra chiaramente quali danni abbia portato l’aver fatto diventare la “normalità” malattie e stili di vita che rendono quasi impossibile raggiungere o mantenere lo stato di salute. E questo inesorabilmente si ripercuote sugli equilibri personali e professionali.

In conclusione, che cosa ci insegna l’emergenza sanitaria? Da dove dovremmo partire?
Stiamo vivendo un cambiamento radicale di cui ancora non vediamo bene le conseguenze: possiamo solo ipotizzarle. C’è però qualcosa che non deve passare in secondo piano e del quale è il momento di parlare: creare una cultura organizzativa basata sulla consapevolezza delle persone verso sé stesse e verso la propria attività e i pilastri già citati prima: rispetto, fiducia, responsabilità, appartenenza... Chi aveva già lavorato su questi obiettivi oggi è un po’ meno fragile. Mentre per chi non vi si era ancora avvicinato potrebbe essere il momento giusto per mettere le basi di questa trasformazione.