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Enrico Bucci
Il Covid, i vaccini e l’informazione malata da cui dobbiamo guarire

Enrico Bucci <br> Il Covid, i vaccini e l’informazione malata da cui dobbiamo guarire

Enrico Bucci
Il Covid, i vaccini e l’informazione malata da cui dobbiamo guarire

 Testo raccolto da Stefano Tenedini

Forse l’infodemia non ha causato le decine di migliaia di vittime del virus, ma è ormai il sottofondo del nostro stress quotidiano. Notizie inesatte, guerra tra luminari, fake news e spasmodica ricerca dei like o dell’audience hanno ormai mandato la comunicazione in terapia intensiva. Un morbo che va aggredito e curato soprattutto ora che lei vaccinazioni stanno (speriamo) partendo. Se no l’inaffidabilità dei titoli si rifletterà nella sfiducia verso la scienza. Che è invece l’unica strada razionale per ritrovare la speranza nel nostro futuro interrotto.
 

04/02/2021
Possiamo anche sforzarci di toccarla piano, come si usa dire, ma la realtà non cambia. Ci si ammala di Covid-19 e ci si ammala anche di disinformazione. Di qui la pandemia che viaggia verso i centomila morti, di là l’infodemia che ha contagiato i giornali e le televisioni, i social e le chiacchiere da bar, trasformando redattori e commentatori in drogati alla ricerca di una dose di numeri, statistiche, voci pro e contro, allarmi a frammentazione, diffondendo panico e incertezza. Lo vediamo bene: dopo un anno di virus ormai è intubata anche l’informazione. Perfino l’Oms e l’Unione Europea ne hanno preso atto: “Un eccessivo flusso di informazioni, non sempre accurate e affidabili rende difficile orientarsi. Notizie false o fuorvianti possono costare vite umane: occorre fermare chi approfitta della crisi”, sottolineano. L’information disorder però passa soprattutto dai social media, difficile frenarli senza soffocarli.

Anche autorevoli studi psicologici hanno dimostrato che i lockdown, le restrizioni e l’eccesso di pareri contraddittori espongono le persone a un grave stress collettivo, senza precedenti in tempo di pace, danneggiando attenzione, concentrazione e memoria, e causando disturbi del sonno, ansia, paura, bulimia e una depressione strisciante. E in una situazione già limite l’eccessiva esposizione al catastrofismo ha amplificato il disagio. L’angoscia genera audience e like: ma possiamo permettere che questo accada? Quale aiuto può venirci da ricercatori e scienziati? Francesco Masini lo chiederà giovedì 11 febbraio al prof. Enrico Bucci, docente alla Temple University di Philadelphia e ricercatore in Biochimica e Biologia molecolare, nel corso del webinar di #Open 2020-21 in Vecomp Academy. E il tema non potrebbe essere che “Dalla cattiva comunicazione alla cattiva scienza”. Su questi temi e sui rapporti tra virus, informazione e società abbiamo raccolto le riflessioni del prof. Bucci.

Ormai “lo dice la scienza” è meno rassicurante di un tempo, non basta più: dobbiamo sapere “chi” lo dice, perché per combattere l’infodemia come effetto collaterale del Covid-19 prima bisogna distinguere le fonti, separare informazioni e mistificazioni, avere criteri oggettivi in base ai quali scegliere, sia le istituzioni che noi come individui e cittadini. Perché una buona comunicazione può rendere molto più chiara e comprensibile la scienza, ma al contrario una pessima informazione può farci tornare indietro di secoli, fra pregiudizi e paure irrazionali.

Immunità di gregge? Sì, ma solo se consideriamo che il vero “gregge” è tutto il mondo
“In un solo anno abbiamo superato 100 milioni di casi ufficialmente riconosciuti di Covid, il che significa in realtà un numero molto più alto di infezioni. Nonostante questo numero dica chiaramente che sarebbe ora di smetterla di fare chiasso e adottare una strategia mondiale di contenimento e profilassi con i vaccini finora sviluppati, ogni nazione e ogni Stato, persino ogni regione crede siano possibili misure bilanciate con interessi locali, da quelli economici a quelli culturali e sociali, in un mosaico caotico di policy, attitudini e soglie di sopportazione del danno alla salute e dei morti conseguenti all’infezione”, spiega Bucci, precisando che si fa un gran parlare di immunità di gregge dimenticando che il “gregge” è tutta la popolazione mondiale, quindi chiudersi in singoli orticelli “rischierebbe di rendere vana la vaccinazione dei Paesi ricchi e avanzati, che credono di potere fare i furbi con il virus”.
Il rimedio migliore rimane la ricerca scientifica. “Dopo la selezione che ha portato ai vaccini di prima generazione, ora se ne stanno studiando altri sperando che riescano a indurre una robusta risposta immune”, aggiunge Bucci, che però, con il rigore del ricercatore, ammette che non è chiaro se e come ce la faremo. Lo sviluppo di nuovi vaccini è sempre più rapido, e a dispetto delle mutazioni c’è la speranza di poter fronteggiare il virus. Ma ricordiamocelo: un mondo, un gregge. E, per continuare nell’analogia, c’è quel fedele cane da pastore che è la scienza. Quella sequenza di piccoli passi che non ama la pubblicità, gli annunci roboanti, la ricerca a ogni costo dell’effetto wow. La scienza, insiste il prof. Bucci, che salverà il mondo.

Il bello della ricerca: decenni di studi per capire i virus e darci l’unica risposta necessaria
“Il virus ha modificato l’immaginario collettivo e le nostre vite, seminato disastri e messo in dubbio quello che potevamo immaginare del nostro futuro individuale e collettivo. Eppure il 2020 è stato notevole anche per gli avanzamenti scientifici. Provo un senso di meraviglia per quanto i ricercatori hanno raggiunto nella biologia molecolare: conferme spettacolari di una nuova visione nelle scienze della vita”, sottolinea precisando che non è una “scoperta” improvvisa ma “il culmine di un processo che ha portato a convergere le diverse discipline”. Un percorso affascinante in corso da decenni che riconosce l’importanza delle informazioni codificate nel genoma, in grado di originare un intero organismo ma anche di cambiare nel tempo, definendo l’evoluzione delle specie.
Stiamo andando fuori tema, lontano dal Covid e dall’infodemia? Niente affatto: il successo dei vaccini a Rna ne è la diretta conseguenza. Gli organismi “replicatori” di maggior successo sono quelli che rinunciano a una parte della loro stabilità per introdurre piccole varianti: e sono proprio queste differenze (che fanno dei nostri figli dei pezzi unici invece che cloni di noi stessi) che determinano il successo. Capitava ai fringuelli di Darwin, agli alberi e ai virus. Ecco perché nessuna ricerca è fine a se stessa e perché inseguire risultati di breve respiro ci allontana dal risultato finale. Dal paziente, minuzioso lavoro di migliaia di ricercatori ignorati e trascurati da una “società dello spettacolo” verranno le uniche risposte necessarie. Analisi pacate, spesso incomprensibili al pubblico, che domani ci restituiranno il nostro futuro.

Quando il protagonismo annebbia il giudizio la prima vittima è il rigore. La seconda? Noi.
Il bello della scienza è la sua molteplicità di posizioni che sviluppa il dialogo, la comparazione e il confronto, e genera opinioni differenti. Ma a volte, come oggi con lo tsunami informativo seguito al Covid, l’incontro di menti così brillanti rischia di sfociare in un protagonismo che danneggia l’autorevolezza e getta in un (ulteriore) sconforto noi cittadini che ci aspettiamo dagli scienziati molta chiarezza. Insomma, come nel Vangelo di Matteo, “Sia il vostro parlare sì, sì o no, no. Il di più viene dal maligno”. E possibilmente evitate di fare casino. Il prof. Bucci ne parla a proposito di vaccini e richiami, il tema del giorno. Si discute se rispettare quanto prevedono le autorità regolatorie, con tempi magari più lunghi ma con la massima cautela per la sicurezza, o prendere, diciamo così, una scorciatoia perché abbiamo fretta. Risponde Bucci che “l’unica difesa della popolazione da clamorosi fallimenti o peggio da pesanti danni per la somministrazione di farmaci sperimentali è attenersi a rigorose basi statistiche, e non improvvisare nuovi protocolli basandosi su ipotesi sia pure ragionevoli. Dagli scienziati ci si aspetterebbe di tutto, fuorché il rinnegare in nome dell’emergenza proprio quel rigore che è poi il buon senso di non lanciare protocolli su larga scala andando oltre quanto appreso. La disparità di opinioni è il motivo per cui bisogna restare agli studi controllati. La medicina basata sulle evidenze”, precisa con comprensibile rigore, “non va abbandonata neppure per nobili fini, perché la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni cliniche”.

Pregiudizi contro numeri: “Vaccino? Neanche morto”. “Muori di Covid, non di vaccino”
Un altro dei temi più controversi sui quali il prof. Bucci prova a dare un’informazione sensata è riassumibile così: il vaccino è veleno, io non me lo faccio. “La chiave perché le persone possano valutare i benefici della profilassi è la trasparenza sugli effetti collaterali”, chiarisce. “C’è stata una sperimentazione clinica su decine di migliaia di individui vaccinati: le reazioni più comuni cono state: dolore sul punto dell’iniezione, arrossamento, rigonfiamento, febbre di durata inferiore a 48 ore, stanchezza, mal di testa, dolore muscolare, dolore alle giunture, malessere generalizzato, nausea, brividi. In altri casi molto meno frequenti, ingrossamento dei linfonodi. In casi rarissimi, reazioni allergiche. Naturalmente possiamo decidere che non siamo convinti, nonostante i controlli indipendenti e i dati ora in arrivo dalla vaccinazione di massa”. Il virus ci fa molto ma molto più male, ricorda Bucci: “Nel 10-15% causa sintomi come insufficienza respiratoria, grave stato infiammatorio, coagulopatia diffusa. E mortalità elevata, mentre nessun caso è finora associabile ai vaccini utilizzati”. Basterà? Certo che no, ma è giusto provare ad arginare un’infodemia figlia (anche) di comprensibili timori.

Si trasgredisce per sfida, per paura o per le idee poco chiare. Il ruolo della comunicazione.
Mascherina, distanziamento e disinfezione dovrebbero aiutare a contenere il Covid, ma c’è un’imbarazzante percentuale di persone che ignorano regole e indicazioni. Sono tutti scemi o ci sono motivazioni più profonde che non possono essere ignorate? Domande inespresse che meritano risposte? Qualcuna prova a darla il prof. Bucci. Molti hanno più paura di forti perdite economiche in un futuro incerto, quindi per evitare contraccolpi preferiscono vivere come se niente fosse. Ecco, la leva economica (“se ci si ammala la crisi non finirà mai”) può aiutare a far ragionare queste persone. C’è anche un aspetto politico, per cui ad esempio il rifiuto delle mascherine è una forma di ribellione alla narrativa di un governo, o al contrario testimonia l’adesione alla linea “negazionista” di un leader o di un partito di maggioranza.
Che sia colpa dei giovani? Bucci conferma: no. “L’età non rivela un’attitudine a trascurare le regole e smonta la retorica che, soprattutto in Europa, ha colpevolizzato gli assembramenti dei ragazzi (o addirittura le scuole) come responsabili della seconda ondata. Secondo i dati i focolai si sono generati altrove: anzi, i giovani subiscono un maggior impatto sia psicologico che economico”, rileva suggerendo di parlare in modo diverso alle varie fasce di età. Resta il fatto che nel bene e nel male la comunicazione gioca un ruolo importantissimo: se non si spiega correttamente la necessitò di vaccinarsi, temo”, è l’amara conclusione di Bucci, “che assisteremo a uno dei più grandi fallimenti della storia della medicina moderna, oltretutto a fronte degli innegabili successi raggiunti sin qui grazie alla ricerca clinica”.

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