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Cristina Pozzi
Benvenuti nel 2050! Sogni e timori nel futuro che arriva tra 25 anni.
Umani o no, i dati, la medicina, la politica, il lavoro e…

Cristina Pozzi<br>Benvenuti nel 2050! Sogni e timori nel futuro che arriva tra 25 anni. <br> Umani o no, i dati, la medicina, la politica, il lavoro e…

Cristina Pozzi
Benvenuti nel 2050! Sogni e timori nel futuro che arriva tra 25 anni.
Umani o no, i dati, la medicina, la politica, il lavoro e…

Un’idea possiamo farcela già adesso: il nostro mondo, se non ci faremo troppi danni prima di arrivarci, nascerà sulla spinta fortissima delle tecnologie, della digitalizzazione, della crescente interconnessione tra persone e macchine più veloci e analitiche di noi. Nutriamo molte aspettative e anche qualche dubbio: come verremo trasformati da questa rivoluzione? Sarà morbida o farà saltare i nostri equilibri sociali, etici, organizzativi? Possiamo attendere per capirlo da soli, vivendolo, oppure cominciare a leggere i trend di oggi per estrapolare le probabili variazioni. Quanto saremo “ibridi” a forza di ricorrere agli impianti neurali? Voteremo ancora le liste dei partiti o sceglieremo online il governo? I bambini nasceranno “a caso” o li ordineremo su catalogo con le preferenze? I robot potranno affiancarsi ai medici, ma sostituiranno anche gli infermieri? E a proposito di dati, ci preoccuperemo ancora di come si raccolgono e che fine fanno o saremo noi stessi a venderli? Ma soprattutto: al lavoro o in vacanza?

Come vivremo tra 25 anni? Farà davvero più caldo? Come staremo con gli altri? E cosa si mangerà, come ci vestiremo, dove abiteremo? Cosa cambierà nella società e nella vita di tutti i giorni? Ci saranno ancora le guerre (bella, questa). E la tecnologia, i macchinari, lo shopping, le automobili? In una parola: che futuro sarà? Tra abitudini che ci auguriamo di non perdere e quello che invece preferiremmo lasciare nel passato, chiedersi come sarà il mondo di domani è una consuetudine dell’uomo fin da prima che inventassimo i calendari. E per l’appuntamento con la serie Stories and the City in Vecomp Academy, Francesco Masini ha chiamato chi il futuro – anche delle piccole cose – lo ha già approfondito.

Cristina Pozzi, imprenditrice, divulgatrice e attivista sociale, ha l’obiettivo di influenzare positivamente il mondo con cui abbiamo a che fare e soprattutto dare ai giovani utili strumenti per guardare avanti con consapevolezza. Con questa curiosità, qualche anno fa ha scritto 2050, Guida (fu)turistica per viaggiatori nel tempo. Doveva spiegare come in una Lonely Planet cosa cambierà anche nel giro di pochi decenni: cosa vedremmo se andassimo a visitare il Paese chiamato futuro. Un’esplorazione per tutti: non scientifica ma ricca di dati e curiosità. Al futuro pensiamo sempre, ci attrae e insieme ci spaventa. Ci sembra astratto, ma ci influenzerà: per questo dobbiamo portarlo nell’oggi, farcelo amico.

“Quando ho scritto questo libro nel 2017, il 2050 mi sembrava la distanza giusta, né così vicina né troppo lontana, abbastanza a portata di mano per guardare oltre le crisi attuali ma non così astratta da risultare poco interessante. Nel costante girotondo tra presente, passato e futuro”, spiega Pozzi, “il cervello ci aiuta prendendo delle scorciatoie: in realtà non pensiamo così bene al futuro, riusciamo a proiettarci avanti ma si attivano anche i ricordi del passato. Serve per pensare al domani dandogli una “proporzione” per capire come potrebbe evolversi l’oggi che conosciamo. Pensate a un sacco di mattoncini Lego per costruire uno sviluppo: non sempre ricorrere alla creatività rende tutto più facile”.

Guardando avanti ci facciamo delle domande: il futuro è immutabile nonostante tutti gli sforzi? Allora dobbiamo scegliere un ruolo per il nostro domani, se essere osservatori o navigatori. Se invece pensiamo che sia modificabile e influenzabile, ci vediamo più come esploratori o cartografi? Affrontare le terre incognite o tracciare le mappe per mostrare a chi verrà dopo come muoversi? Gli esperimenti psicologici spiegano che essere ottimisti evita che la negatività percepita diventi realtà proprio col nostro aiuto: insomma, conviene crederci. Ma come si fa a capire che futuro potrebbe essere? Immaginiamo il contenitore dei tanti futuri, purché plausibili. Poi ce ne sono altri “preferibili”, ma uno solo è il futuro atteso, quindi il più probabile. E qui ovviamente più che risposte troviamo altre domande.

Ad esempio: preferibile, ma per chi? Per restare a oggi, meglio quello desiderato da Trump o dalla Cina? E se uno solo è quello atteso… chi lo attende? La realtà è complessa: siamo in una specie di triangolo flessibile, in cui tu puoi spingere e tirare, ma da un’altra parte c’è il passato che rallenta il cambiamento, poi il presente che va avanti per la sua strada e il futuro che ti spinge verso la trasformazione. Per questo ci viene semplice immaginare il futuro, a patto di poter partire da una base di dati che abbiamo già a disposizione. Ed è per questo che del futuro dobbiamo “assorbire” soprattutto la velocità del cambiamento.

A proposito di società che cambia, “2050” anticipa che non saremo tutti umani. Cosa vuol dire? Non per forza che avremo dei coinquilini alieni (però oggi non possiamo escluderlo), ma che le nostre vite sono già popolate da navigatori che ci parlano, da Alexa che ordina la cena, dai robottini che spolverano e così via. Così si modificano anche le nostre azioni: i comportamenti che insegniamo ai robot nel mondo virtuale aiuteranno gli stessi robot a interagire con noi in un futuro che è già vicino. Ma anche noi verremo robotizzati? Sì, le persone impiegheranno tecnologie portabili: sui vestiti, su di noi o addirittura “dentro” di noi. Non c’è solo il progetto Neuralink, l’interfaccia cervello-rete: abbiamo gli occhiali, la dentiera, lo smartphone che è già una nostra estensione. Ma prima di parlare di protesi che miglioreranno le nostre abilità… dal punto di vista psicologico siamo davvero pronti?

Diciamolo: ci sono cose del futuro che ci fanno già un po’ impressione, forse quasi paura. Una prospettiva decisamente dark è la selezione dei bambini: lo voglio più biondo, alto, con gli occhi più azzurri… rischiamo di rincorrere il figlio perfetto, mettendo da una parte quello che prende di noi, il Dna originario? Un’ipotesi che ha già radici nel presente: la tecnica di “Designer Babies” opera scelte e selezioni sugli embrioni. Può essere per evitare malattie, ma se fosse per l’estetica, o per scegliere il sesso? Per noi oggi è inconcepibile, ma se un domani vicino fosse accettato, quali conflitti etici dovremmo affrontare? Ci sono poi aspetti “sociali” da considerare: il futuro può essere abitato da persone come noi, che forse preferiremmo meno tecnologie e più relazioni e umanità, nella vita e nel lavoro. E i giovani? Già oggi a molti ragazzi non dispiace interagire più spesso con le macchine che con i compagni di classe: siamo noi che addestriamo le macchine o il contrario?

Gli scenari da valutare si stanno moltiplicando. Con l’intelligenza artificiale che addestra anche i robot medici, c’è da temere che gli infermieri scompaiano? Ecco, questo è meno probabile: la cura, con esseri umani curati da esseri umani, è una condizione alla quale difficilmente rinunceremmo, di sicuro non oggi. Invece sembriamo quasi pronti alla pace tra contanti e carte di credito. I vantaggi sono molti e ragionevoli: banconote sporche che diffondono germi, la “plastica” è più pratica e non si rischiano rapine... Invece i problemi li sperimentiamo già, e continueranno a crescere, con l’incremento della presenza digitale nelle nostre vite: pensiamo alla cyber sicurezza o alle lunghe di procedure per operare sui siti di banche o assicurazioni o enti pubblici, che pure lo fanno per proteggerci. Perché non sono solo polemiche sulla libertà di pagare in contanti contro il rischio di “controllo” se si usano carte di credito e bancomat. In gioco ci sono i dati, la vera miniera del futuro.

Sui dati, “oro” virtuale di oggi e del futuro, Cristina Pozzi ha aperto un capitolo importante. Se ci pensiamo, mettendo da parte i contanti, anche i nostri soldi sono fatti di dati. “È una terra ancora tutta da esplorare e da organizzare. Pensiamo a quanti ne lasciamo in giro in rete”, approfondisce. “Quando facciamo sport lo sportwatch si collega con piattaforme su cui lasciamo percorso, performance, tempi. E figuriamoci se registriamo gli obiettivi: il peso, quanto e cosa mangiamo, quanto dormiamo... stiamo generando una quantità di informazioni che non sappiamo bene dove andranno a finire, né chi le controlli o a cosa serviranno nel futuro. Chi ci guadagnerà, chi potrebbe utilizzarli potenzialmente perfino contro di noi? E ancora: se un giorno dal parrucchiere dovesse caderci un capello col bulbo, potrebbero tracciare tutto quello che c’è da sapere sul nostro organismo e venderselo. Ma a questo punto perché questi dati non ce li vendiamo direttamente noi, magari da soli senza intermediari? Potremmo fare soldi con i nostri dati, soprattutto quelli sanitari che saranno i più interessanti, considerando che la vita media continua ad allungarsi...”

Soldi a parte, pensiamo alla politica che ci appassiona e ci divide. Nel futuro ci sarà ancora bisogno di qualcuno da eleggere o faremo da soli, premendo un pulsante per votare e dar vita al governo della maggioranza degli elettori? Attenzione: reale, non virtuale. Il futuro è così: diverse possibilità per immaginare altri mondi in cui vivere domani. La democrazia, nonostante sia il metodo più diffuso e partecipativo, non è affatto garantita: il 57% degli under 27 anni oggi non pensa che sia il migliore dei modi possibili per governarsi: cresce la quota di chi vorrebbe un uomo forte al comando, che ci risparmi problemi e seccature. Nel futuro questo sentimento potrebbe affermarsi. Certo, abbiamo anche un problema di informazione, di come (e se) si insegna lo spirito critico: perciò i giovani non si sentono più così tanto rappresentati dalle generazioni precedenti. E la politica e i social di presentano un sistema che ricorda il medioevo, con un feudatario bellicoso appoggiato dai vassalli.

In cerca di buone notizie dal futuro, alla fine emerge una curiosità che è una speranza: ma smetteremo di lavorare? saremo in vacanza per tutta la vita? “Forse no, perché il lavoro rappresenta anche la nostra identità e non ci rinunceremo tanto volentieri”, dice Cristina Pozzi. “Forse l’automazione creerà impieghi meno ripetitivi, noiosi e pericolosi. Potremo nobilitare il lavoro costruendolo intorno alle nostre passioni e ai nostri hobby, sviluppare i nostri superpoteri interiori invece che essere dei semplici esecutori. Al massimo, dove non arriveremo direttamente, ci faremo aiutare dalle macchine, dall’intelligenza artificiale che sarà lì esattamente per quello. Ma la buona prospettiva resta: viaggeremo di più, si spera più sostenibilmente, e viaggeremo anche con la mente attraverso la tecnologia”.