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Bruno Bagnoli
Sport e aziende: motivazione, impegno e rispetto per vincere tutti insieme

Bruno Bagnoli<br> Sport e aziende: motivazione, impegno e rispetto per vincere tutti insieme

Bruno Bagnoli
Sport e aziende: motivazione, impegno e rispetto per vincere tutti insieme

Intervista di Stefano Tenedini

16/04/2021

Dal volley alla cultura d’impresa, passando per la responsabilità, il coraggio di uscire da una zona di comfort che ci sta ingabbiando, la crescita individuale e di squadra, la capacità di cambiare ruolo, di affrontare le vittorie e le sconfitte e di trarre il meglio da ciascuno. Allenatore-educatore delle giovanili per NBV Verona, ci spiega quanti paralleli corrano tra i campi di gioco e la fabbrica. Se serve, si investe sulle persone anche col percorso formativo detto “cazziata”. E impegnarsi sul futuro è il solo percorso davvero credibile per uscire dal tunnel.

 
“Che cosa chiedo ai miei? Chiedo impegno, motivazione, rispetto dei ruoli. Tutti si devono esprimere al massimo delle proprie possibilità”. Stiamo parlando di sport o di lavoro? Per Bruno Bagnoli, allenatore di volley tra i più noti in Italia, quando si tratta di coinvolgere le persone, motivarle e coordinarle non fa tutta questa differenza: il risultato è lo stesso. Se c’è uno sport che per dinamiche organizzative e per doti umane può essere di esempio per l’azienda è sicuramente la pallavolo. Bagnoli, oggi direttore tecnico delle squadre giovanili di NBV Verona, giovedì 22 aprile sarà protagonista dell’incontro in Vecomp Academy con Francesco Masini: affronterà i paralleli infiniti e stimolanti tra il mondo dell’impresa e uno degli sport di squadra più impegnativi, dinamici e affascinanti.

Come coach il suo obiettivo è sicuramente vincere, ma da giocatore prima e ora abituato a stare con i più giovani, non gli sfuggono altri due aspetti centrali da trasferire alla cultura d’impresa: la motivazione e l’attenzione al lato umano come vie maestre per raggiungere i propri obiettivi. Bagnoli ci parlerà quindi di quali insegnamenti si possano trarre dal volley per migliorare l’efficacia di quella “squadra” complessa che è un’azienda. “Mi piace stare con i giovani e vederli migliorare, a volte un processo sorprendentemente veloce. Quando le persone crescono vanno sostenute e aiutate, dando loro un rinforzo positivo: e se se lo meritano, non bisogna risparmiare sui complimenti. Invece se non si impegnano a fondo li sgrido, perché anche se sono ragazzi devono crescere con la cultura della responsabilità”.

E per confermare quanto un allenatore sul campo debba essere anche uno psicologo - non tanto diverso dal ruolo che l’imprenditore dovrebbe a volte interpretare con i dipendenti - Bagnoli sottolinea che quei complimenti, e cioè il “rinforzo positivo”, vanno sempre fatti in pubblico. Mentre quello negativo (detto con il linguaggio severo ma giusto del palazzetto: la “cazziata”) segue un percorso formativo in tre passaggi: il primo avviene rigorosamente in privato, sotto forma di riflessione che porti il giocatore, o il dipendente per continuare nella metafora, a comprendere le origini di quella performance sportiva o lavorativa non rispondente alle attese. La seconda fase, soprattutto se è andata male per poco impegno, davanti a tutta la squadra. La terza, destinata a lasciare segni indelebili nel ragazzo o nel collaboratore che vuole migliorarsi, richiede i riflettori della partita: davanti al pubblico.

Con il ritmo rapidissimo del gioco, l’interscambio continuo tra i giocatori su un campo così ristretto, con la necessità di capirsi al volo, è indubbio che la pallavolo sia uno degli sport che hanno più da insegnare alla formazione e alla vita in azienda. Oltretutto per Bagnoli il lavoro stesso deve essere uno sport, anche se poi lo sport ad alti livelli è un lavoro: non si va a “lavorare” in campo o in palestra, si va a “giocare”. Perché la mente è più produttiva se viene spinta e trascinata dalla motivazione. Un altro dei mantra su cui Bagnoli insiste è che bisogna uscire dagli schemi. Avete presente “meglio il pareggio della sconfitta”? Ecco, non sempre bisognerebbe accontentarsi di raggiungere un risultato così così... È semplice anche capire perché una squadra riempita di campioni ma incapace di diventare un team non va da nessuna parte, meno che meno in testa a una classifica. Perché le competenze Individuali sono importanti, per carità, sono un patrimonio chiave nella squadra così come nelle aziende, ma non possono e non devono sostituire la forza del gruppo.

Lo stesso discorso lo possiamo fare sulla cultura: va diffusa, quella dello sport come quella d’impresa. Parlando di giovani, ad esempio, abbiamo idea di quanto costi sul piano sociale ed educativo NON fare sport? Un conto che le nuove generazioni pagheranno salatissimo: a scuola non se ne fa praticamente più, la politica tace e gli impianti sportivi non ci sono o frequentarli è troppo costoso, insostenibile per i team giovanili.  Vengono ingiustamente trascurati troppi temi centrali, che pure vanno a comporre la personalità dei ragazzi in uno dei momenti più importanti della loro formazione. Per restare nell’attività agonistica, c’è il ruolo fondamentale che oltre la scuola giocano da un lato i genitori, e dall’altro le società sportive stesse, che devono allearsi, rispettare i reciproci ruoli e parlare la stessa lingua.

Non che per le società siano rose e viole: sono sempre alla ricerca delle risorse necessarie per continuare un’attività benemerita ma oggi più che mai costosa e sostenibile a fatica. Il modello del marketing aziendale anche in questo caso ha punti in comune con lo sport: è necessario imparare a comunicare bene il proprio valore e i propri principi (dell’impresa e della squadra), per raccogliere quel sostegno che un’azienda chiamerebbe clienti, e poter investire su un nuovo mercato tutto da sviluppare e da salvaguardare. Nello sport questo “mercato” sono i ragazzi, soprattutto ora che sono bloccati in casa, privati della scuola con l’indispensabile contorno della socializzazione. È come se il Covid e una società impaurita avesse tolto ai giovani la loro energia, e occorre restituire loro la voglia di “darci dentro”. Anche perché, ricorda Bagnoli, il mondo è pieno di persone che hanno più fame di futuro di noi, quindi dobbiamo insegnare ai giovani - e non solo - a uscire dalla loro comfort zone.

Parlando di quanto il mondo dello sport sia paragonabile a quello dell’impresa, uno tra gli esempi più calzanti è rappresentato dal passaggio generazionale, uno spauracchio che non a caso viene considerato tra i momenti critici della vita delle aziende, capace di spegnerne l’energia e di rallentarne lo sviluppo, oppure peggio. Ma come fa un giovane imprenditore a fare il salto, cambiare punto di vista portando la novità e salvaguardando la continuità? Bagnoli paragona questo passaggio alla trasformazione di un giocatore in un allenatore: se viene imposto dall’alto in questo ruolo non funzionerà mai, ma può riuscirci guadagnando la stima e il rispetto della squadra, soprattutto se porta in dote l’innovazione e il coraggio di rischiare, e dimostra il coraggio e la capacità di partire dal basso, non dal “piano nobile”.

In campo come in azienda non va sempre tutto bene, se no avremmo solo campioni e non ci sarebbero squadre retrocesse a fine stagione. Infatti anche nelle difficoltà non ci sono così tante differenze tra fabbrica e campo di gioco: Bagnoli sottolinea che “una squadra si vede quando le cose vanno male”. Non a caso, sosteneva Keats, “la vittoria ha molti padri, ma la sconfitta è orfana”. Come evitare il rischio di trovarsi un giorno sulla cima del mondo e subito dopo nel burrone? Semplice e difficile al tempo stesso: quando piovono i punti (o gli utili) bisogna saper guardare avanti, investire, credere nelle persone che credono in te e condividono sforzi e visione. Se questi giocatori/collaboratori vengono premiati, quando arriveranno le sconfitte e i momenti duri la squadra o l'azienda saranno lì con te, pronti ad affrontarli. È anche una questione dell’etica che accomuna l’imprenditore all’allenatore. I principi si possono trasmettere a parole, certo, ma c’è un solo modo che funziona sempre: l’esempio. Per questo il vero coach deve essere prima di tutto un educatore sensibile.

Con tutta la buona volontà, l’impegno e la dedizione, la tecnica e la psicologia, ogni tanto come sempre nella vita si inciampa anche nelle aziende sbagliate per cui lavorare, o nelle squadre con le quali non bisognerebbe giocare. Come possiamo riconoscerle? Sono quelle in cui non si gioca insieme alle persone, ma con le persone. È brutto dirlo così, ma l’idea è quella. Molto spesso il problema e alla radice: i presidenti capricciosi o incompetenti, o gli imprenditori poco illuminati, i fondatori che non vogliono rinnovarsi. Tentare di migliorare la situazione non sempre è sufficiente, e a volte la scelta migliore è cambiare aria. E con le giovanili come va? A Bruno Bagnoli la domanda fa accendere gli occhi: “Con i più piccoli va meglio perché manca tutta la pressione che si scarica sulle prime squadre. Ma per i giovani d’altra parte non ci sono risorse. Un peccato, perché non bisognerebbe tagliare sui ragazzi. Loro non vanno considerati un costo, sono un investimento sul futuro”. Messo in pratica, un messaggio così basterebbe a trasformare l’Italia. Un campo da gioco per volta.

 

Photo Credits: L'Arena.it