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Silvia Zanella
Il lavoro in cerca di un futuro: “nei giovani voglio vedere occhi curiosi”

Silvia Zanella<br> Il lavoro in cerca di un futuro: “nei giovani voglio vedere occhi curiosi”

Silvia Zanella
Il lavoro in cerca di un futuro: “nei giovani voglio vedere occhi curiosi”

Testo raccolto da Stefano Tenedini

06/05/2021

Non più soltanto occupazione, ma un elemento centrale nell’evoluzione della società: con la perdita delle certezze seguita alla pandemia tutto verrà messo in discussione. Bisognerà riorganizzare le aziende, la routine casa-e-ufficio, i modelli di leadership, il rapporto tra colleghi e quello tra uomo e tecnologia. Di sicuro chi guida un’impresa dovrà fare i conti con un’insolita vulnerabilità e prepararsi a prendere a bordo le persone, attrarre e coltivare non automi ma talenti. E la formazione? Non deve finire, è una costante rigenerazione di sé.

 “Il futuro del lavoro è femmina. Non donna, femmina. Femminili sono le competenze che saranno sempre più richieste, perché nessun robot sarà in grado di replicare le soft skills, cioè le capacità emotive e relazionali. Femminili saranno i modi di organizzare le aziende, perché le gerarchie rigide e il comando verticale non funzioneranno più in uno scenario complesso, veloce e incerto. Femminile è il punto di vista necessario per comprendere sul serio come lavoreremo domani. Non si tratta di capire chi vincerà la battaglia tra l’uomo e la macchina, ma come cambieranno la gestione del tempo e gli spazi di lavoro, le relazioni e la nostra identità, il modo di cercare e vivere l’impiego. Il Covid, che ha costretto molti al lavoro da remoto e a relazioni professionali a distanza, ci ha dimostrato come ripensare il modo di lavorare necessario e urgente. Dobbiamo imparare a fare vero smart working, ma anche a condividere obiettivi, dare e generare fiducia, mostrarci vulnerabili, a metterci in ascolto. Penso al futuro del lavoro e alla strada per arrivarci tutti, maschi o femmine”.

Parola di Silvia Zanella, che di esperienze nel e con il lavoro negli ultimi 15 anni ne ha fatte davvero tante: abbastanza per guardare negli occhi i possibili – probabili – sviluppi di quel caleidoscopio di ostacoli e opportunità che è il mondo dell’occupazione. Per questo prima di portare il suo contributo all’incontro con Francesco Masini e con il pubblico di #Open in Vecomp Academy ha voluto precisare che a questo futuro bisogna guardare senza sfera di cristallo, quindi senza azzardare previsioni, ma analizzando come siamo messi già oggi. Come esperta di marketing e comunicazione per le risorse Umane, di employer branding e di recruiting marketing, Silvia Zanella ha raccolto molti spunti in prima persona lavorando in diverse multinazionali del settore servizi. Specializzata nel realizzare progetti complessi in contesti articolati e in forte trasformazione, ora cura lambito employee experience per la società di consulenze Ernst & Young per l’area mediterranea. A questo lavoro principale affianca un’intensa attività come public speaker, autrice, giornalista e formatrice.

“Preferisco non lanciarmi nelle ipotesi sul cambiamento del lavoro anche perché di solito il risultato è diverso dalle congetture. Si diceva che l’occupazione tradizionale sarebbe stata soppiantata dalle macchine, ma sappiamo che nei fatti la tecnologia non ha mai sostituito le persone”, sottolinea. “Quello che noi possiamo fare per prepararci meglio è integrare le trasformazioni nella realtà delle aziende, e farlo non sulla spinta di un’emergenza come la pandemia. Di certo possiamo smentire le sciagure che sembravano scontate, ad esempio il che l’intelligenza artificiale potrebbe prima copiare e poi soppiantare la cultura e i processi umani: ma la tecnologia è davvero importante, e possiamo scegliere di farne un’alleata. La recente emergenza Covid ci ha fatto riconsiderare il nostro rapporto col lavoro e lo smart working ha risolto molti problemi nell’immediato. Con la ripresa dovremo riorganizzare le città e gli spazi di lavoro, il rapporto tra vita privata e il lavoro, ma sarà un passo avanti”.

Riprendendo i temi anticipati nel libro, Silvia Zanella ha chiarito che oltre le semplificazioni di genere va introdotta una visione diversa, un’organizzazione del lavoro basata non solo sulle competenze tecniche ma anche sulle capacità relazionali, sulla comunicazione, grazie a gerarchie meno verticali anche se ugualmente efficaci. Così si dovranno stimolare scambi tra le persone e creare un patrimonio di valori aziendali meno concentrato sull’hardware e più sul “software” degli umani. “In fondo”, ha rimarcato, “siamo ancora noi che diamo alle macchine le indicazioni su cosa fare e come farlo. In questo senso si comprende anche che sarebbe un errore ridurre il concetto di smart working a “lavori in ufficio o da casa”: nella pase post-pandemia significherà più flessibilità e meno estremizzazioni, responsabilità da dare e da prendersi, più fiducia reciproca, costruzione di rapporti reali. E non ci sono limiti settoriali: se all’inizio sono state avvantaggiate le aziende già proiettate sul digitale, d’ora in poi tutti potranno e dovranno rimescolare i modelli e generarne uno proprio.

A proposito di cambiamento, Silvia Zanella ha ragionato sul modello di guida per l’azienda di domani. Il leader per la trasformazione dovrà inevitabilmente rinunciare alle abitudini ormai sorpassate di un’infallibilità a tutta prova, facendo propri i segnali di incertezza che arrivano dal mondo esterno. Come il virus ci ha trovati impreparati, incapaci di reagire, di far cambiare rotta alle imprese, così il leader potrà finalmente rivelarsi vulnerabile. Sarà suo compito caricare di significato la relazione con le persone con le quali lavora. Come su una nave in un mare agitato, dovrò “prendere a bordo” i collaboratori, investire su di loro, metterli al sicuro, renderli più consapevoli. Insomma, non farne degli automi ma attrarre i talenti e coinvolgerli per mantenerli al centro di un’azienda in costante evoluzione. Che è, a quanto sembra, il nuovo mantra degli uffici risorse umane. Quando assumono qualcuno, le aziende scelgono il meglio ma devono anche risultare la proposta più interessante per il candidato. Ebbene, questo “corteggiamento” deve durare anche dopo, con un impegno che va sostenuto nei concetti e nei fatti. Il viaggio del dipendente in un’organizzazione così assume una dimensione valoriale: prima, durante e anche dopo, salutandolo all’uscita.

In tutto questo che spazio ha la formazione? Molto, e per questo alla domanda sul perché essa risulti spesso in ritardo rispetto alle esigenze del mercato (sia delle imprese che dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro) Silvia Zanella risponde che la formazione di base è importante ma da sola non basta. E non basta mai anche quando è ben fatta e ben programmata. Il perché è semplice e impegnativo al tempo stesso. Sembra (o è) sempre insufficiente perché è un paracadute indispensabile, che preserva il tuo valore di mercato: chi smette di imparare corre il rischio di diventare rapidamente, se non obsoleto, almeno poco utilizzabile in una società economica in costante rimescolamento. Sì la leadership, sì il team building, sì le competenze professionali e relazionali… ma oggi il nome del gioco è reskilling: la rigenerazione costante, permanente delle proprie abilità. Non solamente per la soddisfazione personale, ma anche per la vera e propria sopravvivenza all’interno di una organizzazione che cambia: continuare a formarsi mette al riparo dai terremoti improvvisi, è la garanzia di poter preservare la propria “impiegabilità”, termine un po’ respingente ma che ha il pregio di essere chiaro e affilato come un bisturi. Non è necessario buttarsi in un corso dietro l’altro, attenzione: ma occorre sviluppare una certa intelligenza strategica.

Nell’attesa che passi l’onda di piena del posizionamento in vista di quella ripresa che tutti auspichiamo, bisogna anche cominciare a ragionare sui pericoli dello “smart washing”, che ci ricorda da vicino il “greenwashing” praticato da chi abusa dei principi della sostenibilità ambientale solo per ragioni di marketing. Si parla tanto di trasformazione smart da temere che appunto siano solo chiacchiere. È un bene che il tema sia diventato di attualità, quindi sforziamoci di vedere il bicchiere mezzo pieno perché indietro non si tornerà, ma occhio a passare dalle parole ai fatti. Concentriamoci su come creare imprese davvero empatiche: parliamo di ferie, congedi, orari, servizi, retribuzioni, rapporto vita/lavoro. Mettiamoci dei KPI, cioè degli indicatori di performance che misurino la distanza dal “vorrei” alla realtà, e poi si vede subito chi ci ha creduto davvero e chi sta solo cercando applausi gratis.

Per finire, Silvia Zanella non si è tirata indietro dal valutare il cambiamento anche nel suo settore, quello delle risorse umane. Quanto e come sono diversi i candidati di oggi rispetto al passato, anche recente? Il processo di recruiting si è trasformato anche grazie ai social che permettono di raccogliere informazioni e tendenze e di prepararsi meglio, e infatti i candidati oggi si presentano meglio, preparati, con più senso di responsabilità, mostrano di comprendere meglio la mission dell’azienda per cui si offrono. In più, e di differente, è cresciuta la percentuale di giovani che chiedono di concordare le condizioni di lavoro, un segnale di attenzione al mondo che si va costruendo anche nell’impiego. “Voglio vedere occhi curiosi, l’attitudine a scoprire il mondo”, conclude Silvia Zanella con un segnale di ottimismo. “Perché le competenze le puoi acquisire lungo tutta la tua vita professionale, ma l’attitudine, la voglia di crescere, quella devi averla da prima. Devi averla dentro”.

Photo by Brooke Cagle on Unsplash