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Marco Bersanelli
Ritratto dell’universo da neonato: la magia delle stelle e le galassie del pensiero

Marco Bersanelli <br> Ritratto dell’universo da neonato: la magia delle stelle e le galassie del pensiero

Marco Bersanelli
Ritratto dell’universo da neonato: la magia delle stelle e le galassie del pensiero

Da quando ha iniziato a scrutare il cielo l’umanità si chiede da dove veniamo, i perché della creazione, il nostro destino. Domande che non smetteremo mai di farci e che ci hanno spinto a esplorare il cosmo con la forza della scienza. È stata proprio l’idea di “alzare lo sguardo” a spingere l’astrofisico a progettare Planck, il telescopio che ha indagato sull’origine dell’universo, risalendo fino alle frontiere del Big Bang, 13.8 miliardi di anni fa. Quella radiazione residua, una volta decifrata, ha mostrato come poco dopo la sua nascita ci fossero già tutti gli elementi che hanno creato galassie, stelle, pianeti e …noi. Il resto non è osservabile, ma non per questo smetteremo di cercare. È la nostra eredità.

Testo di Stefano Tenedini

Da quando ha cominciato a scrutare il cielo e a dipingere nelle grotte, insieme ai bisonti e ai cavalli, anche le stelle e le fasi lunari, l’umanità si interroga sulla forma dell’universo, sul senso della vita e la necessità di esplorare oltre i nostri ristretti orizzonti. Le domande che da allora ci poniamo – chi siamo davvero, da dove veniamo e perché siamo qui, dove andiamo – ci hanno spinto a guardare in su e verso fuori. Prima solo con gli occhi, poi col telescopio di Galileo, ora con grandi specchi in orbita e sonde spaziali che varcano i confini del Sistema solare. Continuiamo a indagare perché rispondere ai dubbi che nutriamo fin dal paleolitico ci aiuta a vivere meglio anche l’oggi: per questo non smetteremo mai.

Lo scienziato sperimentale Marco Bersanelli, astrofisico e docente alla Statale di Milano (uno che si alza dalla cattedra e ci mette le mani, insomma) lo ha spiegato non coi numeri ma con la passione, mettendo lì miliardi di anni e di anni luce come fossero versi di una poesia infinita. Così ha affascinato il pubblico e lo ha riportato all’età dei primi “perché”, facendolo sentire al tempo stesso vecchio come l’universo e parte del tutto cosmico. Una magia, quella del professor Bersanelli, che ha inaugurato la stagione 2023-24 di Open – Il Festival della Cultura d’Impresa con la forza del missile che si stacca dalla rampa di lancio.

Ed è la quinta stagione di Open in Vecomp Academy, ha sottolineato col giusto orgoglio Francesco Masini presentando il relatore e il calendario delle prossime serate. Il titolo del cartellone 2023-24 è “Alzare lo sguardo”: l’invito è un appello rivolto ai veronesi, persone e aziende, perché ritrovino il coraggio di vedere oltre l’urgenza per scoprire pezzi di realtà poco conosciuti o poco considerati. Da qui un esordio molto opportuno con Bersanelli, che ha riacceso la luce, ormai molto fioca, del rapporto tra umanità e universo. “Sotto le stelle siamo tutti molto piccoli”, ha esordito l’astrofisico, specializzato nelle ricerche sul “fondo cosmico”, la radiazione elettromagnetica presente ovunque nell’universo. Un residuo dei primi istanti dopo il Big Bang, che ci permette di immaginare la nascita degli atomi, degli elementi e pian piano delle stelle, dei pianeti e della vita. La prima luce dell’universo.

“Dobbiamo davvero tutti alzare lo sguardo, perché come azione e come metafora è ormai diventata un’eccezione”, ha spiegato il docente. “Ma è anche un progetto di vita, la scelta che fai da bambino nel chiederti che cosa c’è oltre. Non conosciamo più l’oscurità: prima, per decine di millenni, l’unica luce era quella delle stelle. Oggi sappiamo cos’è la galassia, solo che non la osserviamo davvero. In una notte serena vediamo migliaia di stelle, una parte della Via Lattea che ne conta miliardi in uno spazio largo centomila anni luce: è una distanza che non riusciamo neanche a immaginare. Oltre alle stelle c’è anche una polvere in costante movimento, che genera nuove stelle e fabbrica gli elementi della vita. Siamo letteralmente fatti di polvere di stelle: non è un modo di dire, ma proprio fisicamente”.

Dalla Terra Bersanelli ci porta alla galassia più vicina, M31 di Andromeda, distante da noi 2 milioni e mezzo di anni luce. Significa che la sua luce che vediamo ora è partita quando qui l’Homo habilis cominciava appena a stiracchiarsi. E poi il viaggio accelera nel tempo e nello spazio, attraverso un oceano fatto di vuoti immensi e ammassi di galassie come Pandora’s Cluster. La scienza guida la nave spaziale, ma per sfidare i confini dell’universo serve ben altro. Come un pensiero di Pascal (“Tutti i corpi, il firmamento, le stelle, la terra e i suoi reami non valgono il minimo tra i pensieri”), oppure il Notturno n.1 di Chopin che traccia la via tra le stelle. O l’azzardo della formula che tenta di ordinare il caos primigenio, che Lemaitre mostrò a Einstein avvicinandolo alla barriera del “prima”, dell’inconoscibile.

Sì, vabbé, ma le prove? direbbe oggi un investigatore. Ancorati lì alla fine del tutto, a poco meno di 14 miliardi di anni luce da qui, Bersanelli tira il freno per ricordare che “occorre la storia dell’universo per farci maturare la consapevolezza di quanto siamo piccoli e limitati, minimi, infinitesimali. Ma è proprio questa coscienza, la capacità di pensiero, a renderci infinitamente unici”. È il momento di presentare le prove, il distillato dei suoi 30 anni di lavoro sulla radiazione del fondo cosmico. Studiando com’era l’universo da neonato, 13.8 miliardi di anni fa, ha contribuito al progetto dell’Agenzia spaziale europea ESA: mandare nello spazio il telescopio Planck. Per l’esplorazione è stato l’equivalente della costruzione delle piramidi: all’inizio c’erano solo tre o quattro scienziati, che poi sono diventati 400, da 12 Paesi. Una ricerca ciclopica, tanto che si è appena finito di analizzarne i dati.

“Il nostro scopo non era solo scientifico, ma anche umano”, spiega. “Volevamo affrontare la ricerca con un modello nuovo: condividere il valore delle persone, non solo dei progetti; e credere che l’errore non fosse solo uno sbaglio, ma una nuova possibilità, una fonte di ispirazione e di idee innovative. Lassù Planck ha fotografato per anni quella che è apparsa come il residuo della nascita dell’universo, anche se all’inizio i nostri sensori ci restituivano un’immagine uniforme, con solo piccole differenze di densità che venivano rese con pallini di diverso colore. Ma erano le prime rappresentazioni della forza che ha generato il tutto”.

Incredibile che la ricerca scientifica abbia rallentato per attendere una missione durata 30 anni. Però Bersanelli ha la risposta: “Per progettare a lungo termine devi essere certo che ne valga la pena, devi trovare fascino in ciò che fai, cercare le sorprese ed essere pronto al sacrificio. Ci vogliono grandi capacità tecniche ma anche persone che ce la mettano tutta”. Ma all’inevitabile domanda su “chi ha schiacciato il bottone per avviare l’universo” si fa da parte: “In questo campo ognuno ha la sua idea. Se parlo per me non penso sia stato solo il caso a farlo funzionare: credo come Pascal in un pensiero oltre la misura fisica, che è su un livello superiore. Lui lo chiama amore, carità. Per me è la sorpresa dell’esistere”.

Possiamo immagina cosa c’era “prima”? “Abbiamo raccolto una foto dell’universo quando era giovane, anzi neonato: non possiamo osservare il momento del concepimento, solo il frutto. Cercheremo di risalire più indietro, cercando le onde gravitazionali fino alle prime frazioni di secondo dopo il Big Bang. Ma da scienziati rispettiamo anche gli altri piani di conoscenza, compresa la riflessione su ciò che non possiamo conoscere direttamente. E questo è giusto perché ogni essere umano si chiede da dove viene la propria creazione”.

E la sua, di ricerca? Non quella dello scienziato, ma della persona? “Mi sto innamorando della biologia: è affascinante immaginare come la natura con pochi elementi chimici abbia saputo organizzare la materia vivente dalla cellula fino all’organismo. Penso all’idrogeno, all’ossigeno e al carbonio che si organizzano nel nostro corpo: il cervello ospita galassie di neuroni che incrociandosi generano stelle di pensiero...” E dopo l’origine dell’universo c’è anche la riflessione sulla sua fine. “Non si può andare oltre l’orizzonte osservabile, ma ci si può chiedere cosa ci possa essere oltre. Definiamolo “illimitato”, perché seguendone la curvatura all’infinito potremmo riapparire allo stesso punto…. di partenza. La curiosità e le scoperte sono la nostra forza: perciò il metodo scientifico è continuare a cercare”.

Per finire Bersanetti torna coi piedi sulla Terra. A Barcellona, chiamato dagli architetti che alla Sagrada Familia stanno finendo le ultime guglie. “Mi hanno chiesto come riprodurre il firmamento, come si faceva fin dalle cattedrali del Medioevo. Ma la guglia di Gaudì è alta e sottile, si fa fatica a pensare come farci stare l’idea di universo di cui abbiamo l’immagine sferica e distesa, proprio la nostra Via Lattea che attraversa il cielo. L’abbiamo risolta così: riproducendo l’universo con i concetti di spazio e tempo. In termini scientifici e moderni il risultato sarà meno forse artistico, ma più realistico”. Dai satelliti indietro alle cattedrali? Sì. Aveva ragione un poeta come T.S. Eliot: “Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta