La tecnologia: è la cultura del cambiamento, l’evoluzione della specie. Sta con noi dalla preistoria e ci porterà nel futuro Massimo Temporelli
La tecnologia: è la cultura del cambiamento, l’evoluzione della specie. Sta con noi dalla preistoria e ci porterà nel futuro Massimo Temporelli
Un giorno un nostro antenato si tagliò raccogliendo una pietruzza scheggiata: era una selce, e quel giorno è iniziata la storia. Con questa istantanea si avvia il cammino dell’uomo, che con quell’arma (ora lo chiameremmo “dispositivo”) ha dato la caccia ai leoni, ha inventato l’agricoltura, la ruota, le piramidi e poi via via fino alla rivoluzione industriale. Che continua grazie al computer, ci ha allungato la vita e ci fa stare meglio. Anzi, a volte troppo tranquilli, perché se una parte del nostro cervello fa il tifo per il cambiamento, un altro pezzo vuol essere lasciato in pace. E infatti in Europa abbiamo smesso di competere. Poi c’è l’Italia, così innamorata del passato da vivere guardando indietro, con un retrovisore che copre tutto il parabrezza. Abbiamo paura delle trasformazioni: l’ultima è l’intelligenza artificiale, temiamo possa cancellare i posti di lavoro. È sempre successo, ma andremo avanti: anche grazie alla AI. E ai giovani, che maturando svilupperanno la loro creatività, con cui faremo nuovi passi avanti.
Disclaimer (insomma, avviso ai lettori): confesso che ero inquieto aspettando di ascoltare Massimo Temporelli alla terza puntata della stagione 24-25 di Open in Vecomp Academy. Perché con un titolo come “Quanto costa non occuparsi di tecnologia”, avendo costruito la mia carriera di giornalista e comunicatore sulle parole e non sull’algebra, temevo di capire forse metà dei temi e ancor meno della sua visione di futuro. Ma “nonostante” sia laureato in fisica, speaker sui temi innovativi e imprenditore della digital fabrication, per lui parlare del rapporto tra uomo e tecnologia è un’occasione di esprimersi con echi di antropologia e sociologia che arrivano dritti dalla preistoria e ci aspettano nel domani. Interessante perfino per uno come me, sordo alla magia dei numeri nonostante una moglie esperta di bilanci e una figlia ingegnere. Temporelli è anche stato per dieci anni curatore del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, dove da bambino per la prima volta ho sognato di volare e mi sono innamorato dell’Artico guardando per pomeriggi interi a occhi spalancati la Tenda Rossa di Nobile. Allora mi sono rilassato, ed è stato un viaggio fantastico. Grazie Vecomp. E a tutti un caldo invito a riempire la Academy: non fatevi sfuggire occasioni così.
Il punto è che crediamo che parlare di tecnologia – e ascoltare – sia difficile, ma è perché dimentichiamo quanto questi temi abbiano più che fare con la nostra umanità che con la tecnica. Anche se non ci sembra, la tecnologia riempie cronache, geopolitica, economia e sport. E pure la strategia delle aziende ne è impattata direttamente, il che conferma quanto l’animatore di Open Francesco Masini ribadisce appena può: “Perché c’interessa sapere chi comanda in Cina o quanto è vecchio l’universo? Perché la cultura d’impresa non si ferma in azienda, ma merita lo spazio di un festival!”. Infatti un imprenditore deve capire e adottare le tecnologie giuste che lo rendano competitivo: ma per farlo dev’essere consapevole che occorre avere un rapporto positivo con i dispositivi. E siamo in ritardissimo, dice Temporelli. “Se non ci occupiamo di tecnologie saranno le tecnologie occuparsi di noi. Ormai dovremmo considerarle importanti quanto i pannolini, i genitori, i prodotti, i mercati o l’ambiente”.
E non ha esagerato, perché ci ricorda che passato il Novecento l’Europa non ha più industrie che si occupino di sistemi operativi, né di reti di comunicazione, o di cellulari. Sorpassati sia a Est che a Ovest, e questo non è solo un problema di competizione ma anche – appunto – di cultura. “La tecnologia non è solo macchine, è soprattutto la cultura dell’evoluzione della nostra specie. Ma è la perdita di competitività che sta ridisegnando il futuro dei nostri figli”, spiega attraverso un episodio casalingo. “Alle nostre figlie facciamo questo discorso: prendi un brutto voto? Non ti diciamo “niente cellulare stasera”, perché le tecnologie non sono solo le ultime arrivate. Quindi acqua corrente, niente elettricità, niente forchette a tavola, niente riscaldamento e di conseguenza la doccia è fredda. Ah, non è detto: forse non funzioneranno neanche le tubature. Guardatevi intorno: anche il paesaggio agricolo non è naturale come crediamo: non è natura vera, è creata da noi, modificata, adattata e trasformata nei secoli per farci vivere meglio, produrre più cibo e vivere bene e a lungo. Andate in Amazzonia e poi vedete quanto si sopravvive in una natura vera... Nel giro di pochi minuti ti arriva un ragno velenoso, se no entro sera si diventa la cena di qualche animale predatore”.
Preso lo slancio, Temporelli varca con leggerezza il confine tra tecnologia e filosofia. Naviga tra i dispositivi e spiega che li chiamiamo così, ma in realtà siamo noi che apparteniamo a loro e agiamo in essi. Infatti quando li consideriamo nuovi non stiamo parlando della loro attualità, ma della nostra. Siamo noi che diventiamo “nuovi”, perché cambiamo attraverso ciò che creiamo. Proprio così, una generazione dopo l’altra, siamo diventati sapiens. Forse, tornando da una battuta di caccia, uno dei nostri antenati ha raccolto una pietra scheggiata che gli ha fatto scorrere una goccia di sangue con il suo bordo tagliente: era la selce che ha cambiato la sua vita e anche la nostra. Perché diventata strumento gli ha permesso di non fuggire davanti al leone ma di lottare con lui, di sconfiggerlo e nutrire i propri figli invece di guardarli morire di fame. Il mondo è cambiato in quel momento, e noi umani non siamo più stati la preda ma il predatore. La tecnologia, anticipata da una selce o dalla punta di una freccia, ha modificato la nostra natura. Cambiando anche la natura stessa.
Quindi gli umani si sono evoluti grazie ai dispositivi che inventavano e usavano. Allora come oggi: solo di recente ai grandi concerti e alle sale da musica si sono affiancati gli auricolari e le cuffie, che ci hanno fornito una bolla per l’ascolto individuale, ciascuno con la sua musica preferita da condividere con gli altri solo se si vuole. La tecnologia e i dispositivi formano la nostra visione del mondo e rispondono alla sua evoluzione. Come diceva Abraham Maslow: se tutto quello che hai a disposizione è un martello, tutto quello che vedrai sarà un chiodo. Significa che vedi il mondo tramite lo strumento di cui disponi. Gli ingegneri hanno dominato il Novecento perché sapevano far funzionare le cose. Oggi, passati dalla centralità dell’uomo alla centralità degli ecosistemi, anche le aziende e gli uffici sono ormai ecosistemi complessi. Trasformazione non indolore, ci ricorda Temporelli. “Il cambiamento è insito in una parte del cervello dell’uomo, che ne conosce i vantaggi. L’altra parte invece frena e ci dice: ma sei sicuro che dobbiamo correre questi rischi? Per cosa poi, per cambiare? Ma perché non si può andare avanti così come abbiamo sempre fatto? In effetti gli animali non si modificano tanto spesso, invece noi ci imponiamo di innovare, anche se costa fatica”, spiega con un delizioso aneddoto prima di introdurre la tecnologia vera e propria, l’età delle macchine.
“Dopo la scoperta della selce, un altro passaggio fondamentale è stato quando l’agricoltura della preistoria si è evoluta abbastanza per andare oltre le due sole “professioni” esistenti, i cacciatori e le raccoglitrici. Ci sarà stato sicuramente un momento di perplessità, ma invece di dover andare allo scontro con le belve o a cercare radici di rape o qualunque cosa ci fosse da mettere sotto i denti, l’agricoltura ha inventato la coltivazione del cibo. E così è partito l’orologio della storia della tecnologia. Ne è seguita”, conferma, “la progressiva evoluzione di tutta l’umanità. No, non possiamo sapere come sarà il futuro, ma una cosa la sappiamo di sicuro già adesso, e cioè che richiederà una predisposizione alla flessibilità”.
Dopo un lungo giro dall’Homo Sapiens alla fine del Settecento, siamo arrivati alle industrie. Dalle campagne ci si trasferiva a vivere e a lavorare in città, perché l’agricoltura non bastava più. E così via, di evoluzione in evoluzione, dai telai tessili e dalle miniere del Galles con il timore di essere superati dai macchinari e di perdere la sicurezza delle stagioni nei campi. L’industria 2.0 – così la chiameremmo ora – ha invece la forma della catena di montaggio di Ford. Fu la nascita dei lavori specializzati: allora uno faceva le ruote, un altro il cruscotto, un terzo i fanali. Non ci pensiamo, ma funziona anche oggi quando diverse tipologie di esperti mettono insieme pezzi di codice per creare i software: così insieme ottengono il risultato.
“La terza rivoluzione industriale è arrivata con l’invenzione del computer, grazie a Steve Jobs che ha accelerato il percorso rendendo le tecnologie di oggi disponibili per tutti”, prosegue. “In pratica ha reso più “democratico” l’accesso all’innovazione e la sua diffusione: e non parlo solo di lavoro. Se viviamo quattro volte più a lungo dei nostri antenati il merito è delle macchine che studiano, pensano, guariscono, migliorano le medicine e aiutano i medici a capire di cosa soffriamo. E a guarirci. Non sottovalutiamo neanche l’industria 4.0, che nelle aziende ha portato la digitalizzazione, con macchine che interagiscono tra loro e prendono decisioni. Certo, così si comprende perché abbiamo paura della tecnologia. Non è una novità, è successo a tutte le generazioni dalla preistoria a oggi. Ma stiamo perdendo la battaglia in un’Europa che non si adatta al cambiamento, non investe neanche in una scuola di qualità e in insegnanti che la tecnologia insegnino a usarla. Bisognerebbe far entrare l’intelligenza artificiale in classe, altro che tenerla lontana! Cosa vogliamo fare di noi e del pianeta, e quale eredità vogliamo lasciare? Cose che dobbiamo chiederci, ma abbiamo paura di affrontare”.
Alzando toni e volume, Temporelli lascia la poltroncina per avvicinarsi anche fisicamente al pubblico: agita lo smartphone come se fosse una selce e riattacca. “Smettiamola di dire che tutto quel che è nuovo e degradato e sbagliato, di criticare i ragazzi perché sono chiusi nel loro mondo digitale e non parlano più, il che non è neanche vero. Ci sono sempre le mode, e c’è la benedetta stupidità dei giovani che prima o poi, maturando, diventa una creatività che cambia il futuro. Piuttosto, costringiamoci noi a dialogare con loro, prendendo esempio dalle loro chat: sono come i bar di una volta. Tranquilli, che non distruggeranno il mondo: anche la scoperta del fuoco poteva annientare l’umanità nella preistoria, invece ce la siamo cavata e siamo arrivati fin qui per scoprire di aver paura dell’intelligenza artificiale… Gli scontri per la preoccupazione di perdere il lavoro ci sono e ci saranno sempre come i conflitti di interesse tra il bene comune e quello privato. Ma non ci si può fermare, né si può arrestare il progresso solo perché ci rassicura restarcene qui sereni in un passato che non passa”.
Il punto è che non dobbiamo affezionarci a quello che fanno gli umani, perché la macchina lo fa meglio. Certo, è la riflessione di Temporelli, qualcuno perderà il lavoro o lo cambierà, ma non possiamo non evolverci. Del resto il vero valore sta nel far lavorare bene le macchine e curare meglio i rapporti umani. Insegnare alle persone a organizzare le macchine, invece di avvitare bulloni o spostare casse pesanti. E c’è un altro fardello che dovremmo cominciare ad alleggerire. “Continuiamo ad auto-sabotarci comprando solo prodotti americani o cinesi, perché invece di guardare al futuro siamo innamorati del nostro passato. Lo so, alle spalle abbiamo il genio di Leonardo, i Medici, l’arte e l’architettura”, ammette, “ma abbiamo l’idea esagerata del passato che ci ha abituati a guardare indietro con uno specchietto retrovisore che ci copre tutto il parabrezza. Prendiamo lo studio della storia: lasciatemelo dire con chiarezza, chissenefregadell’imperoromanoedeibabilonesi! Mentre non sappiamo nulla di quel che è avvenuto anche di recente nel resto del mondo. L’Italia è bellissima, è la culla del Rinascimento… ma vivendo col collo girato indietro danneggiamo noi stessi”.
Insomma, più dei temi innovativi il vero elemento disruptive della serata è stato proprio Temporelli, che con la forza della sua passione e la capacità di far passare anche contenuti impegnativi ha acceso una luce in platea. Anche a proposito della velocità del cambiamento, che ci sembra rapidissima ma in realtà lo è meno del temuto. “Abbiamo il vizio culturale del “recentismo”, la sensazione di essere travolti da uno tsunami di novità mentre siamo noi che non ci prepariamo al futuro. Neghiamo il cambiamento poi lo rifiutiamo, anche se è già qui”, sottolinea, “teniamo troppo al passato e occupiamo spazio togliendolo al futuro. Quando ero al museo le signore portavano le collezioni dei loro mariti, radio e vecchi registratori, ma non potevo accoglierle tutte. Dovevo tenere spazio per ciò che sarebbe arrivato l’indomani”.
Principio che si applica anche agli umani: fidiamoci dei giovani, dice, perché come sempre tra loro emergeranno i migliori e si adatteranno al cambiamento. Invece più complicato il rapporto fra tecnologia e democrazia: l’innovazione non è democratica, così come non lo è la scienza e non può esserlo il mondo. Possiamo tutelarci, metterci al riparo della cultura e confidare che le tecnologie tirino fuori il meglio di noi per far vincere il bene. Avverrà anche grazie all’intelligenza artificiale, che cambierà progressivamente il mondo del lavoro come è già stato nella preistoria con l’inizio dell’agricoltura (e della storia): nuove opportunità.
Infine Temporelli ha accettato di parlare del suo libro Noi siamo tecnologia.Dieci invenzioni che ci hanno cambiato per sempre, in cui racconta le innovazioni affascinanti con un’ottica umanistica. Un esempio per tutti: la caffettiera, che ha innescato lo sviluppo della borghesia e di nuove forme di democrazia culturale. “Prima c’erano i salottini del tè, dove si trovavano quelli che contavano nella società dell’epoca. Chi non contava rimaneva fuori, che avesse le idee o no”, racconta descrivendo il periodo tra Sette e Ottocento. “Poi i caffè letterari, nati nelle piazze, hanno cambiato la cultura e la politica e aperto alle idee di un mondo nuovo, che passava e passerà attraverso la tecnologia. Noi infatti il caffè non lo produciamo, ma la tecnologia ha inventato l’esperienza del caffè: lo desideriamo prima di sentirlo gorgogliare”.
Nel libro, frutto di 25 anni di curiosità e di divulgazione, racconta la genesi della stampante 3D che cambierà il processo di produzione restituendo alla manifattura il suo valore umano. E c’è anche la nostra vecchia amica selce, madre di tutte le tecnologie naturali che diventano artificiali e danno origine all’umanità. E il freno, contraltare della velocità che ci accompagna nell’epoca moderna, la penna a sfera che fa pensare al ritorno della cultura orale e al futuro della scrittura, la lavatrice che è stato uno strumento dell’emancipazione femminile. Messo al museo Gutenberg, oggi è la barra di Google il simbolo del futuro e la rivoluzione culturale di questi anni, mentre in famiglia il potere è di chi impugna il telecomando. Presenti (e non potrebbe essere altrimenti) lo smartphone, vero sinonimo della contemporaneità, e infine Wikipedia, un progetto collettivo chiave nella storia della cultura, che ci dice come la società umana stia cambiando per sempre.
“Nei risvolti antropologici e sociali di queste invenzioni”, è la conclusione di Temporelli, “si arriva a comprendere come non ci sia nulla di più influente della tecnologia nel ridisegnare le consuetudini culturali della nostra specie. Perché da sempre fa parte di noi”.