Covid-19 e crisi finanziaria non cambieranno la gerarchia tra gli imperi globali ma ci saranno nuovi imprevisti rapporti di forza. I punti chiave: gli Stati Uniti e Trump nel confronto con Cina e Russia, poi il ruolo della Germania nella UE. E l’Italia? Smarrita, debole, ferita: ma con un inatteso soft power da esercitare.
20/04/2020
Il Covid-19 nella sua fase più acuta ha causato decine di migliaia di morti in tutto il mondo. Una tragedia di proporzioni immani, che ci ha fatto tornare a scenari di guerra dimenticati da 75 anni, in Europa, almeno. E non ci sono solo le vittime: anche l’economia sta subendo colpi durissimi dai quale farà fatica a rialzarsi, così come occupazione, risparmi, commercio e molte certezze su cui abbiamo fondato il nostro stile di vita, la globalizzazione prima fra tutte. Per venirne fuori occorreranno molti sforzi e un drastico cambio di rotta.
Di fronte a questo difficile scenario, con che tipo di squilibri – e i successivi riallineamenti – dovranno fare i conti le imprese, i professionisti e i manager?
Non solo chi è già abituato a muoversi in un contesti multinazionali, ma anche chi è (e verrà) comunque influenzato dai mercati esteri e da prevedibili variazioni in continuo movimento in termini di liquidità, di prezzi e cambi, materie prime, clienti e fornitori, logistica e mobilità in Italia e fuori.
Anche la geopolitica si interroga sui nuovi assetti del mondo. Come cambierà la mappa del potere - quello vero, non quello delle narrazioni di comodo? Che equilibri saranno ribaltati e quali confermati? A che prezzo? Chi lo pagherà? Chi rimarrà al vertice, chi vedrà fermate le proprie ambizioni di potenza? E anzitutto: che fine farà l’Italia in questo rimescolamento dell’ordine mondiale? Lo abbiamo chiesto a Dario Fabbri, giornalista e analista della rivista Limes, coordinatore del desk America, che conosce bene gli ingranaggi del potere globale.
Iniziamo dall’Europa, in piena emergenza tra crisi sanitarie e scontro economico.
Nei momenti di crisi tornano a farsi vive ideologie, idea di nazione e stereotipi. Di fronte al virus e all’economia congelata è un “tutti contro tutti”. Ed emerge la questione Germania: o si accolla la guida della periferia europea, con tutti gli oneri connessi, o dichiara che non è un problema suo e resta da sola. Cosa c’è dietro il suo non voler spendere e difendere il proprio surplus? Non vuole fare il perno del sistema Europa, vuole dirigere senza esserne leader o creare imperi o dipendenze, anche per l’ostilità americana, che non accetta la sua forza. Il nocciolo europeo legato alla produzione industriale la pensa esattamente come i tedeschi e gioca un ruolo più severo, come fa l’Olanda. E questo conferma, neanche tanto sotto traccia, la presenza di due Europe.
Che cicatrici lascerà la divisione tra i rigoristi e i sostenitori di un’Europa solidale?
Una contrapposizione tra un’Europa germanica, scandinava e slava, e una di carattere più “latino”, di cui l’Italia è ovviamente parte ma con la specificità di essere inserita nel cuore della produzione tedesca, soprattutto le regioni del Nord. Non possiamo schierarci contro il sistema industriale della Germania, di cui siamo fornitori, e in questo scenario dovremo stare un po’ di qui e un po’ di lì, per poter fare più debito. No, l’Europa non si spaccherà in due. Ma noi potremo solo prendere soldi in prestito per sopravvivere, e non per accedere a investimenti strutturali. È la nostra condanna, in una prospettiva di crescita.
Quindi anche la misura e la natura dei finanziamenti inciderà sugli assetti futuri?
No, perché la posizione dei tedeschi impedirà che lo scontro sugli strumenti di sostegno ai Paesi in emergenza diventi un elemento dirompente. Ma non c’è dubbio che nel confronto su industria, affidabilità dei partner e sviluppi produttivi, commerciali e logistici, verranno utilizzati sotto traccia anche i dati del virus: i diversi risultati nel contenimento dei contagi, i morti, la gestione della crisi avranno senz’altro un peso nelle trattative. Non sarà però un momento facile neanche per la Germania: ci sarà un radicale ripensamento delle relazioni dirette con l’Unione e il mondo. Di sicuro Berlino non si potrà permettere di spendere per sostenere i Paesi della periferia europea, perché il cittadino tedesco la “sentirebbe” come una minaccia alla stabilità del proprio sistema di welfare interno.
Anche gli Usa sono appannati: il virus picchia, sugli esteri sono incerti... E Trump rischia?
Oggi è una situazione estremamente complicata. Non penso che sia in gioco la rielezione di Trump, ma di sicuro abbiamo una maggiore incertezza sul contesto in cui la campagna si muoverà. Era difficile immaginarlo fino a un paio di mesi fa: per il presidente andava tutto bene ed era già nettamente il favorito. Ora per lui la strada è meno sgombra: è vero che ci sono mesi di tempo prima della corsa finale, ma è meno sicuro, soprattutto per le ricadute economiche del virus. Gli Stati Uniti rischiano la recessione per un’epidemia gestita male. Si cerca di salvare il salvabile con l’enorme investimento di 2000 miliardi, però il futuro di Trump sarà determinato dall’emergenza sanitaria e dalla ripartenza.
Gli americani potrebbero dare la colpa al presidente per i ritardi e gli errori?
Se il Covid-19 dovesse lasciare sul terreno molti morti Trump dovrà dare delle spiegazioni. Anche se le indicazioni sanitarie e logistiche non vengono da lui, è la Casa Bianca che detta la linea: se ti prendi i meriti devi prenderti anche le colpe politiche. Pensiamo ai 90 milioni di americani che non hanno un’assistenza sanitaria o se ce l’hanno è di bassissimo livello. Solo chi ha un lavoro e un reddito si può permettere le cure: è colpa di Trump? Certo che no, ma deve rispondere agli elettori. Anche nei rapporti con l’estero non va benissimo: gli Stati Uniti si sono ritratti in se stessi e all’estero hanno fatto delle pessime figure cercando di comprarsi vaccini e tamponi, poi hanno cercato di recuperare, con effetti molto limitati. Errori gestiti malissimo anche nella comunicazione, per tacere dell’assenza della Nato dagli aiuti internazionali. Nessuno s’è svegliato per gestire la situazione.
La Russia cerca un ruolo da protagonista con nuovi e vecchi alleati. Ce la può fare?
L’ex impero sovietico, ridotto da tempo a una parte da comprimario, ha fatto a lungo finta che nei suoi confini l’epidemia non fosse mai arrivata, aiutata in questo anche dal diverso atteggiamento dei russi rispetto alle sofferenze. Da settimane si fanno propaganda con il sostegno sanitario, tanto che l’Italia ha cambiato la sua immagine della Russia anche se gli aiuti non servono a niente se non a trasmettere partecipazione, così come Cuba e Albania. La Russia di Putin resta un interlocutore complesso, con ben pochi mezzi oltre alle risorse naturali: ma ha una strategia ben chiara, anche se non è riuscita a sfruttare il valore degli idrocarburi per rinnovarsi investendo in una vera industrializzazione. Inoltre non vengono graditi perché vogliono imporsi, ma potrebbero cercare di diventare partner più efficaci per l’Europa: una strada resa molto difficile dalla contrarietà degli Stati Uniti.
La Cina? Opacità e propaganda sul virus, Pil in picchiata, mire imperiali in frenata...
Anche se siamo nel pieno dell’epidemia bisogna guardare le cose come sono in realtà, con equilibrio. Non possiamo dire che il Covid-19 cambierà tutto perché non è così. I rapporti di forza non muteranno. La narrazione che la Cina fa di sé è di essersi concentrata sulla soluzione del problema virus, anche se non è vero e rimangono molte ombre. Ha scelto di rappresentarsi come un modello nel contenimento del contagio, e in questo meccanismo di promozione si conferma bravissima. La sua economia stava già rallentando, dovendo dividere i risultati del suo sviluppo tra migliorare le condizioni di vita al suo interno e la necessità di sovvenzionare la conquista di nuovi spazi per il suo disegno imperiale.
Che tipo di atteggiamento possiamo aspettarci dai vertici di Pechino dopo l’emergenza?
Oggi lo stato cinese sa che se la crisi prosegue, nonostante la qualità della vita della classe media sia mutata in meglio, deve comunque continuare ad assicurare alla popolazione un accettabile benessere. E poi procedere con una seconda fase di affermazione della propria influenza sul mondo. Quindi in primo luogo ha rivolto all’epidemia un’attenzione quasi di tipo occidentale, e poi ha saputo esportare il proprio fittizio modello sanitario. Ora dovrà però decidere come restare aggressiva sulla scena globale, mentre si scopre più sensibile del passato perfino alle critiche interne sulla gestione dell’emergenza.
L’incognita di un’Italia smarrita tra virus, recessione, politica, scenari. Come finirà?
Nella prima fase, usciti prima di tutto dall’emergenza sanitaria, dovremo sopravvivere. Poi dovremo fare, semplicemente, quello che ci riesce meglio: essere noi stessi in attesa che il mondo torni a cercarci, e riprendere a camminare con le nostre gambe. Non è ottimismo, è comprendere che non esiste un’altra nazione che possieda il prestigio dell’Italia: e anche se non ce ne rendiamo conto, la nostra immagine è inarrivabile, ci rende preziosi per tutti ed è un soft power che potremmo e dovremmo cercare di far valere nel prossimo futuro.
Eppure in una fase come questa è molto difficile immaginarci al centro degli interessi.
Un esempio: chi nelle ultime settimane è sbarcato qui con i suoi aiuti per “salvare l’Italia”, anche se solo a chiacchiere e per i propri fini propagandistici, lo ha fatto per accreditarsi come “salvatore del mondo”. Questo è il ruolo dell’Italia, e noi stessi non lo capiamo. La Russia e la stessa Cina vivono con il mito dell’Occidente, e noi questo mito lo incarniamo, lo rappresentiamo. La crisi sanitaria prima ed economica poi non muterà la gerarchia delle potenze mondiali, ma le posizioni dei vari contendenti saranno diverse. E l’Italia si dovrà dare nuovi equilibri per ricostruire una normalità differente da quella vissuta finora.