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Geopolitica: capire il mondo per comprendere società e mercati

Geopolitica: capire il mondo per comprendere società e mercati

Geopolitica: capire il mondo per comprendere società e mercati

 di Stefano Tenedini

I piani delle grandi potenze impattano sulle vite e sul lavoro delle persone, sul futuro delle imprese, sulle nazioni satelliti. Con Dario Fabbri di Limes viaggiamo nel risiko globale giocato da Usa, Cina, Russia, Europa. E l’Italia? Come un tappo nel tornado. 


14 novembre 2019
 
Nell’Ottocento si chiamava “politica delle cannoniere”: chi aveva il calibro maggiore dettava le regole e governava il mondo navigando sotto costa. Vista oggi sembra un modo superato, rozzo e violento per gestire le relazioni internazionali. Macché. Funziona benissimo: se hai una, due, sette flotte (come gli Stati Uniti, e solo loro) puoi proiettare concretamente la tua politica estera davanti a casa degli altri, che sono costretti a prestarti attenzione. Dominio militare, economico, politico, culturale che da quasi un secolo nessuno discute sul serio.

La geopolitica è quella scienza affascinante, costantemente inesatta eppure ineluttabile che spiega chi comanda – e per fare cosa. Ne ha parlato al secondo evento di #Open, gli incontri dedicati da Vecomp alla cultura d’impresa, il giornalista Dario Fabbri, analista della rivista Limes, dov’é coordinatore del desk America nonché profondo conoscitore dei meccanismi del potere globale. Per scaldare i muscoli una domandina da niente: che cosa vogliono oggi gli Usa e la Cina? E la Russia? L’Europa? Per non parlare poi dell’Italia, dove “cosa vorremmo fare” fa ridere, visto che al massimo ci lasciano secchiello e paletta per giocare.

Come le cartine geografiche mute sui muri delle medie, senza confini o nomi di fiumi e città, la geopolitica rimanda al posto con un’insufficienza i Paesi poco preparati, velleitari, deboli e confusi. Parla attraverso le mappe – quelle sì chiarissime – che descrivono rotte navali e ferroviarie, oleodotti, giacimenti, flotte, aree strategiche e choke points, i passaggi obbligati tra oceani e continenti che definiscono visioni e strategie. Cioè chi ordina e chi obbedisce e può solo osservare, abbaiare, posizionarsi, stare all’ombra e vivere inquieto.

Di fronte al compito impossibile di raccontare alla platea l’universo per brevi cenni, Fabbri affronta con realismo il mondo per quello che è, la via di mezzo tra una scacchiera e la tavola del risiko. Con re, regine, alfieri, cavalli che fanno e disfano reami, e sfigatissimi pedoni come noi che si vedono passare tutto sopra la testa. Prendiamo il mercato globale, che è “globale” perché ce ne può essere uno solo per volta: nell’antichità era l’impero romano, poi quello inglese, ora quello Usa. Chi ha il controllo del mare decide chi passa, da dove, per andare dove e con cosa: il 90% del commercio viaggia per l’infrastruttura liquida, la più naturale.

Stati Uniti e Cina, si diceva: Pechino deve crescere, vuole e lo pretende, ma Washington non cede la supremazia. Con Obama o Trump non cambia: tengono il sistema al guinzaglio, dice Fabbri, con il deterrente militare. Anche se sono in deficit commerciale rispetto al mondo, comprano merci da tutti. In cambio noi finanziamo il loro mega-debito pubblico di 15 trilioni di dollari, che avrebbe già dovuto schiantarli. Comprano a credito, ogni tanto vanno in crisi, ostentano l’isolazionismo (ma solo di facciata) e fanno pagare ai satelliti parte del costo di fare i gendarmi del mondo. Perché dal ruolo di impero planetario non ci si dimette.

Infatti la globalizzazione non è libero commercio, ma controllo del mercato, e cambierà solo e se qualcun altro prenderà il sopravvento militare o gli Usa non reggeranno più i costi della supremazia. Per questo la Cina, con il suo sviluppo esplosivo e il 30% di export sul fatturato che soffre i limiti al traffico via mare, preme il più possibile sulla nuova Via della Seta: sfrutta il suo surplus commerciale, compra tecnologie, infrastrutture, aziende, know-how, politici. Le grandi potenze non vivono solo di economia, ma di gloria, status, prepotenze. E la Cina, che ha poca pazienza “democratica”, punta a una propria contro-globalizzazione.

Ha già messo un piede (e anche di più) in Africa e adesso nel mirino ha l’Europa. Tra ferrovie attraverso il Caucaso con terminali in Gemania, porti nel Mediterraneo collegati alla Baviera, mercati di sbocco e poli tecnologici dove acquisire le innovazioni che non ha... E in mezzo a questo scenario l’Italia è un vaso di coccio. La Cina non è riuscita a prendersi Gioia Tauro o Taranto e ha ripiegato su Trieste, mossa che l’America non ha gradito perché noi siamo una piazza decisiva, piena di basi militari, navi e aeroplani. Il Memorandum d’intesa sulla Via della Seta per ora è un cassetto vuoto, sì: ma Pechino l’ha voluto comunque per dimostrare a Trump che l’Italia, la sua piattaforma strategica in Europa, viene via con niente.

Mentre la Russia – nonostante le atomiche, le risorse naturali e le mire di Putin – rimane un comprimario di questo scontro, azzoppata dalle sanzioni europee imposte dagli Usa, l’Italia è come un tappo in mezzo al tornado: non dipende da noi, ma ci frulla comunque. Le grandi potenze fanno scelte che ricadono sulle imprese, sul tessuto produttivo-commerciale, sulla società e sul nostro modo di vivere e lavorare. Carburanti, prodotti d’importazione, materie prime, brand italiani che passano di mano come nel Monopoli: un’Italia “decisa” altrove.

Il nostro problema è geopolitico ma anche economico, conferma Fabbri, tra incongruenze infrastrutturali, un’anzianità elevata, la dipendenza da altri mercati, gli squilibri nord-sud, lo scontro fra Washington e Berlino. Quindi prima di tutto è la nostra debolezza a complicare una situazione già difficile e a danneggiare la competitività delle imprese. Di fronte a queste difficoltà – di cui dobbiamo ringraziare essenzialmente noi stessi – essere consapevoli delle dinamiche globali delle grandi potenze non ci indica una via d’uscita ma ci conferma, chiude Fabbri con una delicata scelta di termini, che “le prospettive non sono entusiasmanti”. La geopolitica è una severa maestra: non fa sconti, però ti avverte che sta per bocciarti.