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Gaia Passamonti
Branded Podcast: la voce racconta, e cambia la comunicazione delle aziende

Gaia Passamonti <br> Branded Podcast: la voce racconta, e cambia la comunicazione delle aziende

Gaia Passamonti
Branded Podcast: la voce racconta, e cambia la comunicazione delle aziende

 di Stefano Tenedini

Arriva dritto al cervello (anzi: al cuore) degli ascoltatori senza transitare per la mediazione del linguaggio, riprende l’antica tradizione della narrazione orale, parla anche al pubblico di nicchia. Per questo occupa uno spazio crescente fra gli strumenti che le imprese scelgono per rivolgersi alla loro community. Ma è un’opera che va preparata con attenzione, per non sprecarne le potenzialità e tenere in equilibrio tecnologia digitale, contenuti ed emozioni, creando fiducia e coinvolgimento. Una sfida che inizia dalla conoscenza della propria identità.

27/11/2020
In Italia 1,7 milioni di ascoltatori hanno seguito almeno un podcast, dedicandogli un tempo di circa 25 minuti. L’età media degli “utenti” italiani è tra i 25 e i 35 anni, e non siamo messi affatto male come interesse per questo sviluppo della comunicazione: siamo al sesto posto per ascolti dopo Corea del Sud, Spagna, Svezia, Australia e Stati Uniti. La tecnica del racconto a voce è antica come l’uomo ma sta vivendo una nuova primavera grazie alla tecnologia. La nuova sfida si chiama branded podcast, un efficace strumento a disposizione delle imprese che genera un senso di fedeltà e crea community di ascoltatori (e potenziali clienti) attive e motivate. Gaia Passamonti è un’appassionata umanista ed è socia fondatrice dell’agenzia di comunicazione Pensiero visibile, alla quale ha affiancato il brand Storie avvolgibili proprio per produrre e proporre i branded podcast. E giovedì 3 dicembre ne racconterà opportunità e curiosità al webinar di Smart #Open, dove risponderà alle domande di Francesco Masini.
 
Partiamo dall’inizio: cos’è il branded podcast? Non ci sono già radio, siti web, video, social per raccontare le aziende?
Hanno tutti funzioni differenti. La radio presenta un flusso continuo e vive in quel momento, mentre il podcast puoi ascoltarlo quando vuoi, fermarlo e riprenderlo. Già tre anni fa avevo proposto a un’università di farne uno strumento di comunicazione, ma la risposta era stata che avevano già una radio di ateneo: hanno capito la differenza due anni dopo. È anche per questa confusione che in Italia si chiama podcast quella che è solamente una trasmissione registrata. Noi invece lo consideriamo un film per le orecchie, progettato per questo utilizzo specifico. Rispetto alla radio c’è la stessa differenza che tra un romanzo e un’enciclopedia.

Perché un’azienda dovrebbe far sentire la propria voce attraverso un branded podcast?
Perché oggi si porta a casa due tipi di risultati. Il primo è il vantaggio competitivo di essere ancora tra i primi, visto che in Italia sono pochissime le imprese che sfruttano questo mezzo. Significa qualificarsi come innovatori attraverso uno strumento con caratteristiche davvero particolari, come riuscire a trattenere così a lungo l’attenzione degli ascoltatori, un risultato impensabile per altri media. Il secondo vantaggio è riuscire a trasmettere valori, identità e qualità. Non è uno spot che ti ritrovi davanti anche se non ti interessa: le persone ascoltano i podcast per scelta e poi entrano a far parte di una comunità consolidata e affezionata. Un podcast ti accompagna, non ti interrompe. L’ascoltatore percepisce che è il risultato di uno sforzo di progettazione e di narrazione. E per questo continua a seguirti.

Podcast e storytelling quindi sono strumenti che vanno utilizzati insieme? Tipo “marciare divisi per colpire uniti”?
Posso dire che non esiste podcast che non contenga anche storytelling. Anzi sì, magari c’è, ma si sente che è un’altra cosa, che manca di qualità. Se scegli di parlare di un’azienda con la voce, il racconto deve essere coerente sia con l’identità del brand che con le particolarità del pubblico che lo ascolta. Per sintetizzare direi che la progettazione narrativa viene prima di tutto, ma non limita lo svolgimento, anzi ti aiuta a ottenere proprio il risultato che vuoi.

Che domande si deve porre un’azienda ancor prima di iniziare a lavorare alla costruzione del suo “racconto audio”?
Se lo consideriamo un oggetto di comunicazione digitale, come in effetti è, il podcast ha un senso quando lo collochi all’interno di un ecosistema di comunicazione aziendale. Significa prima di tutto chiedersi che obiettivo e quale pubblico si vuole raggiungere. Perché questo è proprio quello che fa un podcast: ti consente di espandere la narrazione anche in contesti e negli ambiti che normalmente non tocchi. Poi c’è tutto l’aspetto di “costruzione” che tiene conto di come si propone rispetto agli altri strumenti: lo ascolta anche da chi sta facendo altro, lo puoi seguire nei momenti “privati” della vita. Ciò richiede rispetto dell’ascoltatore, dargli contenuti interessanti, raccontare e non vendergli prodotti. Richiede un’identità certa perché va indirizzato a precise nicchie di pubblico, non a tutti. Se produci scacchiere, vuoi e puoi rivolgerti agli appassionati di scacchi nella loro “lingua”. In cambio, il podcast ti aiuta a posizionarti, ti fa entrare in territori inesplorati e ti fa incontrare pubblici nuovi.

Il branded podcast è adatto proprio a tutte le aziende oppure è meglio che qualcuna se ne tenga prudentemente alla larga?
Se per imprese alludiamo alla loro tipologia, è uno strumento talmente versatile da adattarsi a tutte: grandi e piccole, senza limiti di settore. Piuttosto parlerei di avere consapevolezza del percorso che si sta per iniziare: come è stato nel passato per i primi siti web, poi per i video aziendali, infine per i social media. Un’azienda non deve fare podcast se la spinta è solo “perché è di moda”, ma può lasciarsene conquistare se ha le idee molto chiare su se stessa e ha una precisa strategia di comunicazione e la voglia di mettersi in gioco. Siccome tutto sommato il podcast è ancora una frontiera aperta, va avvicinato con le cautele che si devono a un ambiente poco conosciuto ma anche potenzialmente ricchissimo di sorprese.

Una parte affascinante di questo strumento è sicuramente la “scrittura a voce”. Che cosa significa e cosa comporta?
Teniamo presente che quando scriviamo per un podcast dobbiamo rivolgerci a una persona bendata, quindi confermo che va immaginato come un cinema per le orecchie. Le principali caratteristiche saranno la ricerca della semplicità e l’aggiunta di componenti sensoriali che diano spessore, brillantezza e intensità al racconto. Ma siccome è un mondo nuovo, non ci sono regole scritte e non tutto ciò che sappiamo della scrittura può esserci d’aiuto: e questa è un’ulteriore sfida nella sfida. Vorrei anche aggiungere che per sembrare così spontaneo il podcast in realtà va preparato con grande cura. Nel senso che si potrebbe anche registrarlo “a braccio”, ma avrebbe un tono da documentario. Invece se deve dare voce a un’azienda è meglio partire da un copione, dalla sceneggiatura ideata per far passare esattamente quel messaggio desiderato. Se fossero solo dialoghi non ci sarebbe il fascino del racconto.

Come tutti i nuovi strumenti su che cosa sia davvero un podcast ci sono ancora dubbi...
E tante leggende metropolitane, perché nel momento pionieristico regna la confusione tra prodotti amatoriali e professionali. Non è vero che per fare podcast basti aprire il microfono e parlare, nonostante la diffusione di software per contenuti audio digitali: occorre ci siano dietro progetti narrativi e di comunicazione e contenuti preparati. Sono l’organizzazione preliminare e le competenze che rendono un podcast, a maggior ragione branded, diverso dal “fare la radio” e lo distinguono dalla creazione di uno spot commerciale. Qui l’errore è progettare un podcast come se fosse uno spot audio, dal quale si distingue invece per la costruzione narrativa, il tipo di sonorizzazione, la durata, il contenuto e l’attenzione che vuol suscitare. Infine sottolineo che i podcast non sono uguali agli audiolibri: questi nascono per la carta o per gli ebook e vengono letti a voce solo in un secondo tempo. Invece il podcast è progettato e scritto fin dall’inizio con precise caratteristiche, adatte solo al racconto audio.

Sul piano tecnico è una produzione complessa. Ma se fosse una torta sarebbe già parte dell’impasto o una ciliegina?
Confermo che si tratta di un lavoro molto articolato, che deve necessariamente richiedere la presenza di numerose figure sia sul piano autoriale che tecnico. E poi deve partire da un progetto già molto chiaro che deve avvalersi dell’esperienza specifica di chi scrive, di fonici, montatori, sound designer. Infine deve trovare il suo posto nella comunicazione aziendale. Sulla torta rispondo con una battuta: dev’essere negli ingredienti base dell’impasto, non va considerato una decorazione ma un elemento chiave nella costruzione dell’identità. Perciò occorre studiarlo bene, perché usarlo solo come una ciliegina è uno spreco e un errore.

Secondo molti l’audio riduce l’eccesso di stimolazione visiva che ci sta assediando. Addio dittatura dell’immagine?
Diciamo un maggior equilibrio tra i vari linguaggi, ma con un vantaggio in più. Il podcast è il punto di unione fra la tradizione narrativa orale del passato e le tecnologie del futuro, che già oggi si basano su un maggior utilizzo della voce. Tutti abbiamo la nausea di stare troppe ore davanti allo schermo, infatti vediamo quanto spazio stanno occupando gli “assistenti” a comandi vocali. E dopo tante fiabe alla tv stiamo tornando a proporre ai più piccoli racconti a voce. In fondo è proprio questo che il podcast vuol essere: un’infrastruttura moderna che riesce a riportare in primo piano la voce con gli strumenti della tecnologia.

La voce avvicina chi ascolta ai contenuti. Ma come riesce a essere così efficace?
Il motivo è in parte fisiologico e in parte tradizionale. Dal punto di vista neuro-scientifico la voce arriva diretta al nostro cervello senza bisogno di ulteriori decodifiche, come una lettura dei segni dell’alfabeto. E poi attiva degli “effetti speciali” che creano in chi ascolta affezione, cioè simpatia e attaccamento, oppure al contrario disaffezione, quindi ostilità o freddezza. Tutti ricordiamo con tenerezza le fiabe, ma in realtà stiamo ricordando soprattutto la voce della mamma che ce le leggeva. Il podcast ha questo effetto: sembra che parli proprio a noi. Inoltre sul piano del percorso umanistico ci riporta alla tradizione narrativa orale anche del passato più antico, quando era il racconto a voce che tramandava le storie, i valori e i miti.

 

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