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Francesco Costa
La cura di Biden per ricucire le ferite delle due Americhe

Francesco Costa <br> La cura di Biden per ricucire le ferite delle due Americhe

Francesco Costa
La cura di Biden per ricucire le ferite delle due Americhe

 di Stefano Tenedini

Archiviate le elezioni (ma non il malessere che ha diviso anche le famiglie), per il 46° presidente degli Stati Uniti è l’ora di mantenere le promesse, soprattutto di vincere la guerra contro il virus. Basterebbe questo per iniziare a restituire il senso di coesione a una nazione rabbiosa, scoraggiata. Dopo verranno le sfide per la ripresa economica, l’ambiente, le riforme, la politica globale. Ci metterà mediazione, serenità e spirito di comunità, sostenuto dall’attivismo di Kamala Harris, che non fa mistero di guardare già al 2024. E l’incognita repubblicana?
 

22/01/2021
A novembre ci sono state le elezioni col tira e molla sul voto per posta, poi il dopo voto con Trump che non ha mai ammesso la sconfitta neanche andando via di casa (Bianca), la rabbia, il disorientamento e soprattutto la ribellione di mezzo elettorato, culminata con l’assalto a Capitol Hill. Ora è cominciata la lunga strada tortuosa verso la pacificazione, o almeno una normalizzazione. La costruzione di un’America nuova, comunque diversa. Che è iniziata con l’insediamento di Biden, che ha come primo obiettivo curare l’anima ferita del Paese. Anche perché, lo vediamo, gli Stati Uniti non sono mai stati così disuniti, nemmeno quando quattro anni fa Trump aveva gelato i democratici diventando presidente contro i pronostici ufficiali. Cosa farà adesso Biden con quella metà di americani che non intende stare al gioco?

Lo scopriremo nel racconto di Francesco Costa giovedì 28 gennaio, quando il giornalista e vicedirettore de Il Post.it, profondo conoscitore (ma soprattutto innamorato) dell’America risponderà alle domande di Francesco Masini. Costa torna protagonista di #Open 2020-21 in Vecomp Academy, al primo appuntamento dell’anno e in un momento caldissimo. Lo fa dopo aver appena consegnato in libreria il suo nuovo libro “Una storia americana: Joe Biden, Kamala Harris e una nazione da ricostruire”, il seguito ideale del primo apprezzato “Questa è l’America”. Il nuovo saggio parte dal presupposto che il mondo sta per cambiare, di nuovo. Al termine di un anno sconvolto da avvenimenti inimmaginabili, gli americani hanno scelto il loro presidente numero 46 in una delle elezioni più contese e contestate della storia.

Joe Biden e Kamala Harris sono il nuovo volto della Casa Bianca e, dice Costa, “la loro vittoria ha catalizzato le speranze di decine di milioni di persone, ma la sfida che li attende, provare a traghettare gli Stati Uniti fuori dal momento più delicato della loro storia recente, non è semplice. Il modo migliore per conoscere come sarà la Casa Bianca di Joe Biden e Kamala Harris è conoscere chi sono e che cosa hanno fatto fin qui. Perché la politica e il potere non cambiano le persone: le rivelano per quello che sono”. Costa ripercorre le biografie dei due protagonisti e i momenti che hanno segnato le loro vite. Dalla campagna elettorale del 1972, in cui Joe Biden diventò il più giovane senatore degli Stati Uniti, alla vicepresidenza al fianco di Barack Obama, o dall’infanzia di Kamala Harris nel contesto dei quartieri più problematici della West Coast alla carriera da avvocato e procuratore che ora l’ha portata nella storia per essere la prima donna, la prima persona di colore e la prima indiana-americana alla carica di vicepresidente. Vittorie, sconfitte ed errori che raccontano non solo che genere di leader governeranno la più grande potenza planetaria, ma anche le lezioni che hanno appreso e come hanno affrontato gli ostacoli. Episodi rappresentativi “di una comunità che va oltre le loro persone, perché nelle loro qualità e nei loro limiti Biden e Harris somigliano all’America”.

Per non sprecare la luna di miele dei primi cento giorni Biden dovrà fare alcune cose. Quali saranno onestamente possibili, rispetto a quelle che sarebbero necessarie?
In effetti nel suo programma ha dichiarato una serie di iniziative importanti, che richiedono tempi lunghi anche per l’approvazione delle leggi. Però qualcosa può fare da subito e anche da solo, come gli ordini esecutivi che spettano al presidente. Ma l’impegno più importante e decisivo è sicuramente il contenimento del virus. Una priorità assoluta, anche perché nel 2020 Trump ha scaricato quasi tutto il peso sugli stati, mentre il governo federale ha fatto davvero poco per limitare la diffusione e sostenere la campagna vaccinale. Paradossalmente Trump si è concentrato sulla ricerca sui vaccini ma non su come fare le vaccinazioni. Il piano anti-Covid di Biden magari non contiene idee geniali, però mette in chiaro cosa deve fare il governo federale per accelerare la cura, se necessario anche scavalcando gli stati. Ormai si è diffusa la convinzione che la salute viene prima di tutto, e il resto arriverà dopo: economia, riforme, ambizioni di cambiamento vanno rimandate finché la pandemia non sarà sconfitta. È un punto decisivo perché l’America si ritrova rabbiosa, incattivita e scoraggiata. Cancellare il virus innescherebbe il ritorno alla normalità e quindi anche la ripresa economica.

L’America e trattiene il respiro e dice a Biden “Papà, fammi una promessa”, come nel suo libro autobiografico. E la sua risposta interessa a tutto il mondo.
Credo che la promessa che gli americani si aspettano da Biden sia “vi restituirò la serenità”. Certo, ci sono questioni urgentissime che l’elezione non può risolvere da sola: l’emergenza climatica, l’economia mai messa così male da quasi un secolo, la discriminazione razziale. Ma non si risolverà nulla se prima non si affronterà il vero problema, che è guarire l’anima e le ferite del Paese. Non vale soltanto per i suoi elettori, ma anche per chi non lo stima: gli americani hanno bisogno di tornare ad annoiarsi guardando la politica, non di arrabbiarsi e dividersi. La precondizione di qualsiasi risultato politico è smettere di scontrarsi, deporre le armi. Per mesi in famiglie erano litigi Trump vs. Biden: una crisi bruciante, mai vissuta. E non sono famiglie robuste e unite come le nostre, ma fragili: c’è tutto un tessuto da ricostruire.

Il Biden politico e vice di Obama fu maestro di mediazione, di relazioni meno muscolari, basate sul consenso. Quanto gli sarà utile oggi questa caratteristica?
Molto, perché da anni i partiti non comunicano fra loro: si scontrano. Un presidente che viene dalla politica come Biden è raro, con tutte le sue vicissitudini, la capacità di trattare e di negoziare. Sa trovare il buono anche negli altri, e in questo è differente da Obama. Trump lo dipinge come un fantoccio della sinistra, ma gli americani lo conoscono da una vita, sanno che non è così. Farà il vecchio zio, il padre nobile, starà al di sopra dei conflitti. I fanatici delle due parti non lo ameranno, ma così sarà meno divisivo. Vedremo presto se avrà il coraggio necessario: ha promesso aiuti per 1900 miliardi, il doppio di quanto aveva stanziato Obama, anche con un aumento del salario minimo. Del resto situazioni straordinarie portano a gesti straordinari, come è stato per Lincoln, Roosevelt o per Johnson. È il destino dei personaggi pragmatici: eroi improbabili e quindi credibili, che fanno diventare mainstream le loro idee.

Di Biden sappiamo già molto, mentre Kamala Harris in parte è ancora da scoprire. Cosa ci è utile sapere per capire cosa attenderci da lei?
La vicepresidenza è un ruolo che è stato a lungo ingrato, con tanta rappresentanza ma pochi poteri, a parte presiedere il Senato. Di solito viene considerata la fine di ogni ambizione, ma la Harris la vivrà da protagonista e starà in prima fila. Non solo per l’età di Biden e anche in prospettiva guardando al 2024, ma per il coinvolgimento che ha già dimostrato nella fase di transizione. Metterà mano al funzionamento dell’amministrazione, il suo voto sarà decisivo al Senato e le consentirà di far procedere e sbloccare tante leggi. Inoltre, come prima donna e prima nera a diventare vicepresidente, potrà facilitare la ricerca del consenso.

I repubblicani moderati stanno uscendo male dall’era Trump. Ora il partito si svuoterà per diventare il suo partito personale o si ricostruirà senza di lui?
Sarà interessante capire se l’assalto a Capitol Hill è stato la fine dei repubblicani o l’inizio di qualcosa di nuovo. Molti stanno correndo a dissociarsi da Trump, ed è normale: ne vedremo gli effetti nei prossimi mesi. Non erano preparati a trovarsi senza Casa Bianca, Congresso e Senato, e si ricorderanno la lezione. E poi ci sarà una resa dei conti che potrebbe fornire una seconda possibilità all’ex vice di Trump, Mike Pence: se i repubblicani cercassero una figura di riferimento accettabile, potrebbero guardare a lui. Detto questo, quando tra pochi mesi lo staff di Biden leggerà a fondo le carte dell’amministrazione Trump, ne vedremo di tutti i colori: forse anche storie che potrebbero danneggiare il partito e lo stesso Pence.

In politica estera l’America dovrà riflettere su chi vuole essere o diventare. Cosa farà sui tanti terreni di confronto aperti? Quanto cambierà la strategia di Biden?
I rapporti internazionali non dipendono solo dalla visione dei presidenti: sono scelte quasi obbligate, soprattutto dall’economia. Per esempio lo squilibrio della bilancia commerciale con la Cina, lo stato di salute delle industrie, l’import-export americano. Su certi temi invece ci sarà un netto cambio di passo: penso prima di tutto al clima. Rientrando negli accordi di Parigi gli Stati Uniti riprenderanno un ruolo di leadership. Ma l’ambiente sarà un terreno di prova anche per gli equilibri interni, se Biden si prenderà i rischi politici di ridurre il prelievo di combustibili fossili in Alaska, nel Golfo del Messico e nelle terre dei nativi, come promise nell’ultimo dibattito con Trump. E infatti in Texas gli è costato i voti dei moderati. Se taglierà gli incentivi ne avrà dei contraccolpi: ma sarà stata la nuova America a chiederglielo.

Sempre parlando di esteri, cosa pensa Biden della Nato, e cosa vuole farne? Tenerla unita, smontarla o rifondarla? E con quale progetto?
La Nato ha urgente bisogno di essere riformata fin da quando è finita la guerra fredda, e ne siamo convinti perfino noi europei. Rimane uno strumento utile, ma ha anche destabilizzato spesso l’Est Europa. Basti pensare che mentre i nostri aerei sono nei Paesi Baltici, la Nato ha dentro la Turchia che litiga con la Grecia, ma i turchi comprano armi dalla Russia... La Nato ha svolto il ruolo di un esercito europeo che non c’è, ma questa funzione va ridefinita. E se Biden vuole, potrebbe trovare interlocutori in Francia e in Germania. E spero anche in Italia.

 

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