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Dario Fabbri
La guerra in ucraina sta cambiando il mondo. E poi la Cina punterà su Taiwan

Dario Fabbri <br> La guerra in ucraina sta cambiando il mondo. E poi la Cina punterà su Taiwan

Dario Fabbri
La guerra in ucraina sta cambiando il mondo. E poi la Cina punterà su Taiwan

In meno di quattro mesi l’invasione russa su Kiev ha scatenato più effetti sulla politica, l’economia e i rapporti di forza tra gli Stati di quanti ne abbiano avuti vent’anni di conflitto in Afghanistan. Dai veri motivi dell’aggressione (storici e geopolitici, militari e perfino sentimentali) alla reazione degli europei divisi al proprio interno in schieramenti vecchi e nuovi, da come alla lunga reagiranno gli Stati Uniti e la Cina, al perché è difficile che le sanzioni possano funzionare. L’analista e fresco direttore di Domini ha esordito con un atto d’amore per la conoscenza della storia, che contiene tutte le risposte, a cominciare da quelle che occorre sapere ma non ci piacciono. “Chi la studia non ci dorme di notte”.

Testo di Stefano Tenedini

“Chi studia la storia non ci dorme la notte”.
Una frase appoggiata lì con leggerezza, quasi a caso, ma in realtà pesantissima. Qualsiasi avvenimento accada in una parte di mondo, per quanto possa apparire insignificante e marginale, avrà un impatto in tutti i continenti, sulla politica, l’economia, le relazioni internazionali. Chi la storia la studia, se la ricorda e applica i suoi insegnamenti prima di intraprendere un’azione sarà avvantaggiato rispetto a chi non la conosce o, peggio, la sottovaluta ed pagherà le conseguenze di questa colpevole inerzia con una progressiva irrilevanza. Come noi italiani, per fare un esempio (non) a caso.

È stato questo, prima ancora del consueto tour sull’ottovolante della geopolitica globale, il più importante insegnamento che Dario Fabbri ha lasciato alla platea di Vecomp Academy nell’evento conclusivo della stagione di #Open 2021-22. Una sala piena, che ha visibilmente tirato il fiato per il piacere di ritrovarsi insieme dopo due anni di Covid e di distanziamento sociale, pur indossando rigorosamente le FFP2. Con Fabbri e Francesco Masini sul palco s’è sentito un respiro collettivo di condivisione: era il nostro bisogno di mettere insieme idee, informazioni, notizie di attualità e progetti. Cultura per l’impresa e le persone, finalmente.

La serata è stata naturalmente dedicata all’aggressione russa dell’Ucraina, e non avrebbe potuto essere altrimenti. Ma è stata l’occasione per il giornalista e analista di geopolitica (da poco direttore del mensile Domini e ospite fisso di Enrico Mentana nelle maratone su La7) di esaminare una per una le pedine sulla scacchiera. Prima fra tutte, la domanda che tutti ci poniamo: perché? Che cosa ha spinto Putin a invadere l’Ucraina per conquistarla? Operazione che peraltro non gli riesce, perché studiata male ed eseguita peggio.

Motivi ce ne sono diversi: in testa l’atavica insicurezza dei russi, che si circondano di stati cuscinetto per tenere lontani i potenziali aggressori (spoiler: in realtà di solito sono loro ad aggredire i vicini, a parte la Germania nella Seconda guerra mondiale). Si sentono scoperti perché non ci sono montagne tra l’Europa e gli Urali, e l'Ucraina risponde proprio a questo bisogno di erigere palizzate intorno al loro villaggio. Ci sono poi motivazioni sentimentali e storiche: i russi considerano gli ucraini come dei parenti, ma li considerano parenti scemi, da sottomettere e maltrattare, imponendo loro una ferrea tutela. È già successo più volte, e sono sempre stati massacri e decenni di oppressione. Questo spiega il perché – altro che “popolo fratello” – gli ucraini abbiano scelto i valori dell’Occidente e le libertà individuali. A Mosca ci sono rimasti malissimo ed è anche a questo “affronto” che stanno reagendo.

Uno degli errori di Putin è stato credere che gli ucraini, parlando la stessa lingua dei russi o quasi, li avrebbero accolti a braccia aperte. Ma, ha detto Fabbri, “le nazioni non esistono, sono soltanto aggregazioni di esseri umani”. Se anche i 42 i milioni di abitanti parlassero il russo, ma non ti vogliono in casa, non puoi occupare quel Paese e controllarli tutti. Proprio il caso del presidente Zelensky è indicativo: è di madrelingua russa, ma da sempre avverso al Cremlino. Se la Germania occupasse l'Alto Adige in cui tutti capiscono il tedesco, ma nel farlo lo radesse al suolo, quante possibilità ci sono che gli abitanti ne sarebbero entusiasti? E infatti il sentimento si è ribaltato da febbraio: oggi gli ucraini in maggioranza sono ostili, i russi faticano a contenere la resistenza, si sono incagliati nei villaggi e addio guerra lampo.

Come potrebbe finire? Mosca prenderà probabilmente il Donbass, ma solo con la forza e non si sa quando. Le armi dell’Europa e soprattutto dagli Stati Uniti hanno trasformato la guerra, ma non è chiaro se l’equilibrio instabile delle forze possa favorire o danneggiare il negoziato. Se i russi prendono il Donbass potrebbero voler puntare su Odessa (ma non è detto che possano riuscirci, anzi), oppure diventerò una guerra di attrito, di sfinimento. Un risultato però i russi lo hanno già ottenuto, forse non desiderato: in pochi mesi l’Ucraina ha già cambiato gli assetti globali impattando su tutto il mondo. in confronto la guerra in Afghanistan, durata vent’anni (la più importante degli ultimi decenni) non ha generato gli stessi effetti sulla politica, né sull'economia o sulle relazioni tra grandi potenze.

Onde sismiche che da Kiev si allargano nel mondo. Vediamole, partendo dall’Europa che, spiega Fabbri “non esiste, perché è un insieme di Paesi ciascuno con le proprie agende: ma a noi italiani piace pensarlo, perché vogliamo essere adottati, portati in braccio, mantenuti e deresponsabilizzati”. In questo momento in Europa sono tornati attivi e in forse gli Stati Uniti, perché per loro restiamo un terreno di gioco fondamentale. Si pensa che questo sia il secolo dell’Asia, ma in Oriente ci sono economie forti senza la potenza per proiettare le loro ambizioni. Gli Stati Uniti hanno ispirato le sanzioni UE contro la Russia, e l’emozione suscitata nei popoli europei dall’aggressione ha giocato un ruolo chiave.

Chi sta con chi? Nettamente schierati per il contenimento della Russia e a sostegno di Kiev sono Regno Unito, Polonia, baltici, scandinavi e Paesi dell’Est, Ungheria esclusa. Una fascia di indifferenza sostanziale si stende dall’Olanda al Portogallo, attraverso Belgio e Spagna: i russi qui non hanno mai vissuto la Russia come minaccia, quindi si fermano a un appoggio ideale e formale. Poi ci sono Italia, Francia e Germania (più tiepida) che fanno quadrato e sostengono l’Ucraina anche con le armi pur parlando di pace. Ma ciascuno ha una propria idea di Europa. Di noi abbiamo già detto, anche se Fabbri apprezza la volontà di Draghi di concertare una linea con Macron. Ecco, in Francia invece è riapparso l’antiamericanismo e il desiderio di grandeur la spinge a guidare l’Europa per gestirla in funzione della propria visione ancora imperiale. Inoltre teme che gli Stati Uniti tornino in forze in Europa e, in questo vicina a Biden, non vuole che un partner come la Russia guardi alla Cina. Scomoda posizione quella della Germania, in cui “il povero Scholz” sta facendo rimpiangere Angela Merkel e prova a ricavarsi un ruolo di mediazione. Ma dipende dall’energia russa, quindi è tiepida e compromessa, confermando i sospetti americani che considera infidi i tedeschi.

Il problema di questa guerra è che da un lato è un'invasione, ma è anche uno scontro per procura, che gli Stati Uniti e la Nato stanno provando a giocare attraverso gli ucraini, ed è inoltre una guerra civile tra russi e ucraini. Washington si domanda che effetto potrebbe avere la guerra e come potrebbe comportarsi Mosca rispetto alla futura competizione con la Cina. Se l’Occidente dovesse arrivare a mettere fuori Russia dal proprio scenario, come potrebbe avvenire per l’energia e il commercio, si rischia di consegnare Mosca ai cinesi. E Biden non vuole che due simili nemici giurati possano stringere un patto: non un’alleanza, forse, ma anche trovarsi vicini in alcune situazioni tattiche creerebbe sviluppi pericolosi.

I cinesi con la loro storia secolare di umiliazioni subite a opera dei Paesi coloniali, sono un popolo dalla memoria lunga e quindi sicuramente antioccidentali. D’altra parte va detto che considerano europei anche i russi, e quindi possono anche decidere di aiutarli ma non saranno mai amici. Ciononostante una loro sintonia creerebbe anche problemi economici all’Occidente, ed ecco perché indebolire la Russia resta una chiara opzione americana. La Russia in termini geopolitici anche se non lo è più all’interno si comporta come un impero: per questo le sanzioni fanno più male a noi che a loro e non possono durare. I benestanti colpiti sono davvero pochi, mentre il popolo abituato alle privazioni se ne accorge poco.

“La Russia si pensa in termini di storia, di come in futuro verrà descritta nei libri”, aggiunge Fabbri. “Pensiamo che soffrono ancora la drammatica sconfitta subita dai giapponesi nel 1905 a Tsushima: persero la flotta, vennero umiliati e questo scatenò la prima rivoluzione russa, prova generale di quella dell’ottobre 1917. Non sempre noi europei sappiamo come affrontare queste narrazioni: e siamo deboli, anche perché diamo un valore universale alla nostra democrazia, il nostro modo di essere società. Quindi pensiamo che a Mosca non ci sia consenso popolare per Putin, che la Russia sia una dittatura frutto di giochi di potere e brogli elettorali. Invece Putin conta eccome sull’appoggio di vasti strati di popolazione”.

L’ultimo suggerimento di Fabbri, nel chiederci quale potrebbe essere in futuro una guerra paragonabile all’Ucraina, è di guardare comunque a Oriente. Ed esattamente a Taiwan, la “provincia ribelle” che da tempo Pechino dichiara di voler riportare alla madrepatria. Una partita difficile, anche perché la Cina non è la Russia: prima di agire valuta attentamente pro e contro, ma una volta deciso di muoversi, sarà molto improbabile che si fermi a metà. Al termine della serata l’analista più popolare d’Italia come ciliegina sulla torta ha donato al pubblico di #Open una primizia: “Non è ancora ufficiale, ma mi hanno chiesto di scrivere i libri di testo di storia per la scuola. Anzi, di riscriverli”. Un anno scolastico da ricordare...