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Dario Di Vico – Per rilanciare il Sistema Italia il governo ascolti le imprese: non esiste un piano B

Dario Di Vico – Per rilanciare il Sistema Italia il governo ascolti le imprese: non esiste un piano B

Dario Di Vico – Per rilanciare il Sistema Italia il governo ascolti le imprese: non esiste un piano B

 di Stefano Tenedini

C’è un imbarazzante deficit di competenze: progetti che non realizziamo, soldi che non sappiamo come spendere, esperti inascoltati. Non possiamo sprecare l’ultima occasione, altrimenti perderemo anche il Nordest che in Europa ci sta, compete e funziona. Da dove ripartire? Dal confronto: meno comunicazione e più concretezza, idee per l’immediato ma anche a lungo termine, innovazione, professionalità, cultura, sistema. Il Veneto ha battuto il virus, partiamo di qui

19/06/2020

Se l’emergenza sanitaria possiamo dire di averla superata, sia pure lasciando sul campo il pesantissimo tributo di oltre 34 mila morti, così non è per quella economica. Peccato che questa consapevolezza non sia del tutto condivisa. A volte c’è la sensazione che non sia il caso di agitarsi perché i cordoni della borsa (europea) stanno per aprirsi, quindi le cose si sistemeranno. Beh, non è così, come sa - e teme - chi vive e lavora nel settore privato.
Aziende che non riapriranno, occupazione destinata a contrarsi di molto, mercati esteri in dissolvimento a causa non solo del virus ma anche della nostra limitata competitività. Non saranno tempi facili e per sopravvivere l’economia si deve preparare a cambiare pelle. Ma come si fa a programmare una ripartenza senza intese? Se i progetti restano parole? Se il merito non fa curriculum? Ne abbiamo parlato con Dario Di Vico, editorialista del Corriere della Sera, attento osservatore dell’economia e buon conoscitore di Veneto e Nordest. Di Vico sarà protagonista dell’appuntamento Smart #Open di Vecomp Academy nel webinar del 25 giugno, l’ultimo prima della pausa estiva, e con lui ne abbiamo anticipato i temi.
 
Partiamo dagli scontri in corso. Confindustria attacca il presidente Inps Tridico che parla di aziende pigre e opportuniste. C’è davvero un pregiudizio anti-impresa?
Siamo sicuramente in una fase molto complicata del rapporto tra imprese e governo. Non si riesce a trovare il bandolo della matassa, perché alcune scelte dell’esecutivo sembrano favorevoli, come il taglio dell’Irap, ma permane un atteggiamento complessivo di distanza. In particolare Conte tiene con la società un rapporto che ruota intorno alla comunicazione e non passa attraverso il confronto, la discussione, il “nobile compromesso”. È come se al di là delle singole questioni il presidente del Consiglio pensasse proprio alla comunicazione come elemento risolutivo, e questo non gli permette di affrontare i problemi. In questo è simile a Salvini: non è un uomo che cerca le soluzioni, ma il consenso”.

Mai come ora la politica sconta un’incapacità di agire in concreto. Il governo guarda - da lontano - a un’economia in crisi ma è terribilmente indietro nella gestione.
Spero che questa fase di stallo senza risultati possa essere superata, ma è sotto gli occhi di tutti che le cose non vengono fatte. Se ne parla in generale e basta, e c’è una drammatica carenza sia sul lato delle competenze che sul lato della gestione, di quelle che con termine aziendale si definiscono executions. In compenso c’è una quantità di task force che non si può non definire “industriale”, come quella di Colao, che però non si trasformano in azioni efficaci. Intanto il deficit di preparazione e di esperienza operativa si è fatto imbarazzante: si dice che amministrare un condominio è facile, però bisogna averlo fatto... Questo stato di cose genera un confronto difficile all’interno di una situazione politica che è anch’essa bloccata. Ma è necessario uscirne, ora, subito. Non possiamo permetterci di sprecare soldi né tempo. Occorre un dialogo che consenta di valorizzare un’occasione irripetibile.

Parliamo di lavoro: anche il sindacato è parte del problema? In Electrolux all’inizio si era opposto agli straordinari nonostante la domanda sia in crescita...
C’è da dire che poi hanno fatto un accordo, ma in effetti la prima risposta era stato un no quasi istintivo. Il problema è che la leadership dei sindacati si è “romanizzata”, e il futuro sta proprio nell’allontanarsi da Roma, da quelle centrali sindacali che danno la sensazione di non essere più in contatto con le realtà locali. La forza del sindacato è nell’essere vicino alle imprese, legato al territorio. Perché tiene vivo il confronto, e anche litigare è meglio di non capirsi o di non parlarsi. In questi anni invece c’è stato un eccesso di centralizzazione delle strategie sul livello nazionale, mentre più ci si avvicina al mercato e all’impresa e più si riescono a comporre gli interessi. Il sindacato è fondamentale, ma deve tornare a fare il suo mestiere all’interno del confronto diretto, dove la realtà vince sulla teoria.

Qualche critica tocca anche la classe imprenditoriale e manageriale. Accusata di tenere più all’equilibrio dei conti che alla comunità. Come potrebbe migliorare?
Per rispondere bisogna tornare al tema del sentimento anti impresa di cui si diceva prima. Un umore che esiste e che andrà superato, perché l’Italia non può permettersi di perdere il secondo posto tra i Paesi manifatturieri europei. Per affrontare questo problema ci vuole però una discussione sul cambiamento necessario che parta da lontano, dalla formazione stessa. Non è possibile che l’economia non venga insegnata a scuola: se non capisci le sue leggi - e i più giovani non le conoscono - non sai come affrontare la modernità, i problemi dell’impresa. Reagisci chiudendoti in un mondo che non esiste più, non sai quanto vale la conoscenza, l’innovazione. Ciò che Bonomi ha detto degli imprenditori - devono crescere per affrontare problemi inediti - vale per un Paese in cui non tutti sanno sostenere nuove sfide con le soluzioni adatte. Lo abbiamo visto con l’emergenza Covid-19, quando la prima risposta alla sicurezza, la più banale, è stata chiudere le aziende. Inoltre più si portano le imprese ad aprirsi al dialogo, ai contributi della società, e più se ne avvantaggerà il Paese.

Imprenditori e dipendenti criticano anche le banche per la lentezza e il “braccino corto”. Ma è colpa loro o del governo? O delle regole? E come se ne esce?
Secondo me dalle banche gli aiuti di emergenza non ci dovevano neanche passare, perché non puoi chiedere al sistema bancario di passar sopra le regole del merito di credito come se non esistessero. E proprio il riordino della normativa è il primo punto: bisogna lavorarci. Il secondo è che da tempo le banche non sempre conoscono il territorio, e i dirigenti locali non sanno più distinguere a chi possono prestare i soldi e a chi dire invece i necessari no. Lo dimostra il fatto che banche locali più vicine alla clientela hanno gestito la situazione di emergenza meglio di altre. Piuttosto toccava al governo trovare altre strade più adatte a un momento eccezionale. Ne dico una: rimodulare le scadenze fiscali, ad esempio.

Ora c’è assoluto bisogno di un sostegno per ripartire. Con l’Europa, perché è impensabile fare da soli con i Btp. Ma come spendere per rigenerare l'impresa?
L’Europa ha messo in campo una mole di risorse senza precedenti, il che dimostra che non è “matrigna” ma resta il nostro principale supporto. L’obiettivo è saperle spendere bene e non trasformarle in un sussidio. Certo, questa rimane l’esigenza immediata e più urgente, ma subito dopo dobbiamo pensare a come utilizzare gli aiuti in chiave di riorganizzazione del sistema. In altre parole, di riforme. Insisto: è un’occasione unica, non sogniamoci di sprecarla. Ricordo che nel recente passato si discuteva di come utilizzare quelle briciole di scostamento. Ecco, oggi i fondi sono tanti ma è necessario imparare a spenderli bene. E per farlo bisogna ridefinire alcune priorità. Un campo, quello della programmazione degli interventi, in cui gli imprenditori portano un’esperienza quotidiana di gestione aziendale che invece alla politica manca totalmente. Spero quindi che ci sia un vero dialogo e che le aziende aiutino la politica a investire bene le risorse, guardando a progetti a lungo periodo che ricostruiscano un’economia sana, basata finalmente sulla competenza e sulla cultura d’impresa. Gli imprenditori hanno fatto bene a farsi sentire e ora devono indirizzare bene la loro forza su progetti concreti. Perché non abbiamo un piano B, vorrei che questo fosse chiaro. Deve andare bene per forza: i soldi ci sono, facciamoci trovare preparati.

L’economia del Nordest si sente un po’ isolata e ha bisogno di ripartire per confermare il proprio modello di sviluppo. Da dove può iniziare il rilancio?
A mio avviso proprio dalla gestione sanitaria dell’emergenza virus. Il Veneto ha dimostrato di sapersi muovere bene come sistema, dopo che per anni le voci più critiche del territorio si erano chieste come evitare le antiche e dannose frammentazioni, rivalità, veti incrociati. Suggerisco quindi di recepire e replicare la lezione positiva del virus, applicare il medesimo schema all’industria, alla produzione, ai rapporti con il territorio. Se si crea questa cultura di sistema si possono affrontare gli elementi di ritardo rispetto a regioni limitrofe come la Lombardia e l’Emilia. La sanità rappresenta l’orgoglio del Triveneto su cui costruire nuove capacità di affrontare i problemi, superare colpevoli ritardi in Industria 4.0, formazione del capitale umano, digitalizzazione. Ripartire per attrarre nuove professionalità, manager e investimenti, disegnare una progettualità a lungo cercata ma sempre mancata. Il Nordest non è condannato all’anarchia e ai campanili: ora può davvero cambiare.

Un’ultima battuta sul Veneto. Qualcuno sogna ancora la secessione, ma l’impresa vuole lavorare e competere insieme all’Italia, non “nonostante”.
Direi ancora di più. Il Veneto è europeo e deve sviluppare ulteriormente questa mentalità che lo ha reso più competitivo del resto d’Italia: l’apertura verso i mercati per lo sviluppo delle imprese. Vive e prospera solo in contesti ampi e competitivi, e in questo periodo la sua vicinanza con il sistema economico europeo - e in particolare quello tedesco - ne è la prova. Solamente in questo modo può crescere e confermarsi una risorsa per il Paese.

 
 Iscriviti al webinar con Dario Di Vico