Cristina Bertazzoni Volatile, incerto, complesso e ambiguo: il futuro con cui fare i conti
Cristina Bertazzoni Volatile, incerto, complesso e ambiguo: il futuro con cui fare i conti
Fuori dalla pandemia (forse) e dentro una guerra: la nuova realtà in cui sono costrette a muoversi le imprese impone di guardare verso un domani che però non sappiamo ancora immaginare. Cambiano le competenze e le generazioni di colleghi che lavorano insieme, si trasformano i modelli di leadership: senza una rotta chiara e precisa da seguire, ogni mossa può essere rischiosa. Eppure ci sono spazi e opportunità da cogliere insieme alle persone, creando team più eterogenei e adatti a interpretare il cambiamento, anticipando i trend. Con un obiettivo: addomesticare e frenare la “stasi frenetica” che ci fa ricadere esausti dopo una giornata di lavoro, con la sensazione di non aver combinato niente.
Per sviluppare una nuova consapevolezza del mondo in cui viviamo vi sono alcuni aspetti essenziali da considerare: non solo la pandemia dalla quale stiamo sperando di uscire, ma una serie di incertezze nuove. L’angoscioso e drammatico riaffacciarsi della guerra proprio ai confini dell’Europa ce lo sta dimostrando in questi giorni. Ed è cambiato anche il mondo del lavoro: bisogna tenere presente un’inedita convivenza tra le generazioni: nelle aziende si possono ormai ritrovare a operare - fianco a fianco - fino a cinque diverse fasce di “età professionali”, dai giovanissimi iper digitalizzati fino ai colleghi più anziani, meno preparati sulle innovazioni ma ricchissimi di altre esperienze utili in momenti di crisi e transizione. Di qui la necessità di comprendere il presente per prepararsi al futuro.
Se ne è discusso recentemente per Open di Vecomp Academy partendo dal presupposto che per fare impresa nel mondo che cambia occorra conoscere molta più realtà di quanta il nostro lavoro ci mostri. Per questo Open ha organizzato un incontro digitale insieme a ReAgire, col nostro Francesco Masini sul palco insieme a Carlo Alberto Baroni e Massimo Viani, coinvolgendo la prof. Cristina Bertazzoni per raccogliere spunti e soluzioni da offrire agli imprenditori. Formatrice e consulente, Bertazzoni è docente alle università di Verona e Brescia ed esperta di dinamiche di gruppo e formazione per aziende ed enti pubblici.
C’è un acronimo che definisce sinteticamente lo stato di cose con cui ci confronteremo nei prossimi passaggi epocali. Si chiama VUCA e illustra quattro fenomeni da valutare per una leadership efficace nei periodi di indecisione, quando restano pochi punti saldi: volatilità, incertezza (dall’inglese uncertainty), complessità e ambiguità. Il primo descrive benissimo la stagione che stiamo vivendo, con argomenti che ci appassionano per brevi periodi e poi spariscono, con temi all’apparenza fondamentali che però si susseguono rapidamente, un mondo sfumato in cui tutto è accelerato e nulla davvero permanente. L’incertezza è ormai una compagna quotidiana: ci chiediamo dove finiremo nel futuro e tra paura, impotenza e rischio tutto ciò che sapevamo è scolorito, indefinito.
Il terzo punto è la complessità: va innanzitutto distinta dalla complicazione, che possiamo sempre limitare smontandola in pezzi più piccoli. La complessità invece è più della somma delle sue parti, come l’acqua è molto più di ossigeno e idrogeno insieme: e oggi siamo del tutto interdipendenti dagli altri e dalle attività che svolgono. Intendiamoci, la complessità ha risvolti anche positivi, ma bisogna essere consapevoli che è pervasiva, cioè “contamina” tutto. Non è solo connessione o globalizzazione tra mercati e persone, ma anche pensieri e conoscenze: credevamo che le culture fossero importanti in quanto specialistiche, ma se non le uniamo illuminano solo una parte del sistema. Collegare il sapere, le reti di persone, le generazioni e i punti di vista ci chiarisce meglio come si sta muovendo il mondo.
L’ultimo aspetto è l’ambiguità, cioè la crescente difficoltà a raccogliere informazioni certe e analizzarle. Siamo in una nuova epoca digitale, tecnologica, che però richiede anche una competenza inedita: non possiamo più continuare a vivere nel “presentismo”, pensando che domani sarà come oggi, replicando le cose già fatte. Perché poi la cronaca ci presenta il conto e ci dimostra che ogni giorno sarà diverso dai precedenti. Pensare all’impensabile è il nuovo mantra: la storia non è finita, ridiventiamo capaci di ispirarci, di pensare come evolverci nel domani non ancora scritto. Non profezie, ma esplorazione della nostra idea di futuro per agire con più determinazione anche nel presente: e per cambiarlo.
Se questo è lo scenario, come “traghettare” le persone e le loro competenze in un nuovo modello di impresa? Occorre sviluppare, spiega Cristina Bertazzoni, leadership diffuse con capacità di analisi del presente, ma anche intercettare i segnali deboli per leggere i trend più evidenti e anche quelli di sistema non ancora consolidati. Poi serve l’abilità di vedersi già nel futuro per favorire il cambiamento. Quindi bisogna fare un passo avanti: non solo risolvere i problemi ma anticiparli, intuire ed esplorare i possibili scenari futuri. E proprio perché siamo in un’epoca complessa, imparare a lavorare davvero in team con persone di caratteristiche e con competenze diverse, dentro e fuori dall’azienda, per confrontarsi con altre letture della realtà. L’obiettivo sarà sempre di più imparare ad anticipare e gestire la complessità, leggere i segnali del futuro, creare gruppi più eterogenei possibile e generare pensiero strategico. Insomma, trasformare l’impresa di oggi e innovare quella di domani: in un concetto, “non dare risposte vecchie a domande nuove”.
È chiaro che in un mondo che mette in discussione tutte le nostre certezze è importante, nel quadro della cultura d’impresa, mantenere una mentalità aperta e avere competenze tecniche di punta, analizzare minuziosamente le tendenze più rilevanti ma non trascurare i segnali deboli, esplorare scenari futuri e immaginare il nostro “domani desiderato” anche per dare più forza al presente, creare futuri strategici e i percorsi per arrivarci.
Sul piano della gestione delle imprese, stiamo ipotizzando organizzazioni “senza confini”, con leader capaci di tenere insieme i bisogni dell’azienda e quelli degli individui. Strutture non piramidali, il che impone una revisione soprattutto alle piccole imprese che faticano a uscire da questo modello. Inoltre bisogna rendere sempre più autonomi i gruppi di lavoro, delegando loro la capacità di intervenire. La “manutenzione” di questa struttura aziendale richiede il costante sviluppo di competenze inedite personali e di sistema, per rendere la macchina più reattiva, e la crescita di una componente relazionale e affettiva: non saranno più solo i soldi a trainare l’impegno, ma la soddisfazione, la realizzazione, il trovare senso e significato nel proprio lavoro. Far convivere questa dimensione immateriali in un’azienda concreta potenzia l’effetto dell’innovazione, grazie a un’organizzazione che sa stimolare il ricorso alle dinamiche relazionali riattivando e ridisegnando reparti, ruoli e contesti.
“Ci stiamo muovendo su un terreno nuovo, un piano in cui governano il cambiamento e la trasformazione”, sottolinea Bertazzoni. “Un momento delicato soprattutto per chi rimane nella sua zona di comfort ed è affezionato allo status quo. Però se l'imprenditore coinvolge i suoi collaboratori il cambiamento non è impossibile. Nella pratica vediamo che occorrono almeno tre anni: il primo per innescare i processi e sviluppare le competenze, il secondo è necessario per verificare il sistema e dal terzo finalmente si può andare a regime”.
Rimangono comunque ancora numerose aree di miglioramento per superare le resistenze al cambiamento. Lo si può verificare ad esempio anche nel processo di selezione: mentre le aziende dicono di voler premiare le individualità per arricchire il lavoro di gruppo, poi le scelte sembrano premiare sempre le persone allineate, gli esecutori silenziosi invece di chi nutre un pensiero divergente, chi risolve i problemi e non chi li fa emergere... Visioni di un futuro cui ci avviciniamo per tentativi, e che richiederà il coraggio di abbandonare tutti gli schemi, di sospendere i giudizi e consentire alle aziende di facilitare i cambiamenti. Anche passando per quella che Cristina Bertazzoni definisce “stasi frenetica”: un’iperattività che ci lascia esausti e con la sensazione di aver combinato poco o niente, che ci fa credere di non aver mai tempo per pensare, progettare, immaginare. Apriamo la porta al possibile.
Prossimo appuntamento con la cultura d’impresa per Open giovedì 31 marzo: si parlerà di “Reinventare il lavoro (anche) grazie al digitale. Relatore dell’incontro (in versione online) Alfonso Fuggetta, docente di Informatica al Politecnico di Milano e AD di Cefriel, il centro di innovazione, ricerca e formazione in ambito ICT. Il focus del suo intervento sarà “Come sostenere le persone nella digital transformation per accelerare il cambiamento”.