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Chiara Albanese
Energia: tutte le crisi passano dal gas, anche politica, economia e sviluppo

Chiara Albanese <br> Energia: tutte le crisi passano dal gas, anche politica, economia e sviluppo

Chiara Albanese
Energia: tutte le crisi passano dal gas, anche politica, economia e sviluppo

Dalle preoccupazioni delle imprese e delle famiglie agli scontri in Europa sulle fonti di approvvigionamento e sul tetto ai prezzi. Dalle ritorsioni russe per le sanzioni con la minaccia di chiudere i rubinetti al ruolo del mercato olandese del gas. Dal nuovo scenario geopolitico che coinvolge la Nato alle opposizioni in Italia su dove collocare i rigassificatori. In pochi mesi l’invasione di Putin in Ucraina ha fatto precipitare tutto il castello di compromessi che governava da anni il difficile ma necessario legame con Mosca. Addio era dell’abbondanza? Non è detto, tutti gli scenari si stanno riconfigurando. E intanto gli stranieri osservano il governo Meloni, ma si sentono rassicurati dalle prime posizioni.

Testo di Stefano Tenedini

Di che cosa parliamo quando parliamo di emergenza energetica, di gas, di elettricità? Tutti gli argomenti sul tappeto in questi mesi possiamo sintetizzarli così: come si cresce dentro l’emergenza energetica? Un tema da declinare in tutti gli aspetti: quanta energia abbiamo, quanta ce ne serve, quanto ci costerà comprarla (e da chi), gli equilibri politici e geopolitici coinvolti... Se n’è parlato a Open con Chiara Albanese, caporedattrice di Bloomberg, una delle maggiori agenzie stampa internazionali. In precedenza lavorava a Londra, oggi invece è a Roma da dove spiega ai lettori stranieri la politica italiana, giochi di potere, dinamiche di partito e corrente, misteri e retroscena. E anticipa l’impatto delle scelte del governo.

La serata con Chiara Albanese, condotta da Francesco Masini, ha aperto dopo l’anteprima con Francesco Costa il Festival della cultura di impresa, il ciclo 2022/23 di Open lanciato da Vecomp e ospitato nel rinnovato spazio Academy dell’azienda. L’ambiente, innovativo e di alta tecnologia, consente di comunicare meglio idee e scenari. Un contesto per ora senza rivali a Verona: non solo nell’ambientazione, ma anche nel modello e nella scelta dei temi.

La galoppata dell’energia, senza sella né redini, è iniziata un anno fa, quando si parlava del nostro eccesso di dipendenza dal gas russo, si annunciavano i primi aumenti dei prezzi e si ipotizzava che il governo Draghi avrebbe dovuto aiutare famiglie e imprese. E nonostante questo il gas di Mosca, abbondante e a buon mercato, ci faceva sentire sicuri, al riparo dal freddo e con scorte sufficienti. Il tema della diversificazione delle fonti era già di attualità, ma vivevamo un un’illusione che la Russia ha azzerato invadendo l’Ucraina nove mesi fa. Così pochi? Sì. Ormai le notizie corrono e si dimenticano (l’abbandono dell’Afghanistan è di soli 15 mesi fa, remember?). La guerra e le tensioni ci hanno risvegliato brutalmente.

Però, Mosca a parte la crisi energetica era già nell’aria da quando, usciti dalla pandemia, ci siamo accorti dai prezzi e dalla carenza delle materie prime che la tensione economica era tutt’altro che superata: subito con un riflesso sugli approvvigionamenti delle aziende, poi con la martellata dell’energia. Dell’invasione stessa si parlava anche due o tre mesi prima, ricorda Chiara Albanese, anche se l’attacco è scattato in pochi giorni e ha sorpreso tutte le cancellerie. Perfino Draghi, pur ragionando di come ridurre la dipendenza, non prevedeva le sanzioni né di dover tagliare le forniture russe: e come lui tutti gli altri premier europei. Da febbraio a oggi, con la continua crescita dei prezzi causata dalla Russia che minacciava periodicamente di chiudere i rubinetti, la crisi geopolitica ed economica è diventata più che altro una crisi energetica. La politica si misura sempre più con il metro dell’energia.

Diciamo pure che una volta tanto l’Italia s’è mossa bene e molto rapidamente nella ricerca di altre fonti, soprattutto di gas: i nuovi flussi arrivano ora dall’Algeria, dall’Azerbaigian, dal Nord Europa e dalla Libia. È finalmente partito il gasdotto TAP, superato il boicottaggio di politici e attivisti a senso unico: arriva direttamente in Puglia e ci ha aiutati a completare lo stoccaggio. Anche il meteo (anche se purtroppo nell’equazione dobbiamo metterci anche l’emergenza climatica) ci ha dato una mano, rimandando l’inverno fino a pochi giorni fa. Gli italiani stessi hanno cominciato a spegnere qualche lampadina in casa e a fare il pieno con più circospezione, una volta che il prezzo dei carburanti ci ha toccati nel portafoglio.

Ma l’anno prossimo cosa faremo? Siamo solo all’inizio della salita: l’energia costa di più, ce n’è meno ed è più preziosa che mai. I prezzi salgono sulle aspettative del futuro: potranno scendere se dopo la fine della guerra l’energia sarà più disponibile: ma è un auspicio, non una certezza. E poi gli intoppi politici: come il dibattito sul tetto al prezzo del gas, che vede la UE divisa in due. Il tetto stesso è un concetto vago: su cosa metterlo? a quanto? ci serve ancora, visto che oggi da Mosca si compra quasi zero? E questo vale per il gas: sul petrolio la questione è geopolitica e globale, perché coinvolge altri fornitori, non solo la Russia.

Sullo sfondo ci sono anche le polemiche sul TTF, la borsa virtuale basata in Olanda per lo scambio del gas naturale. Qui il prezzo si forma basandosi su domanda e offerta. E come tutti i mercati punta a guadagnare, valorizzando i movimenti rapidi con tanti su e giù. Per anni, ignota ai più, stava ferma perché c’erano contratti a lungo termine: il prezzo non va in altalena se per 15 anni la fornitura è garantita. Ma se le vendite russe spariscono e tutti corrono a comprare il gas, il TTF gioca sui prezzi e fa guadagnare gli operatori. Per questo i Paesi “frugali” non vogliono rinunciare: non sono in emergenza e hanno fonti sostenibili e alternative. I tedeschi invece sono messi male: dipendono dalla Russia per antiche intese politiche ed economiche, anche dopo la presa della Crimea nel 2014. Ma oggi Berlino deve riaprire le miniere di carbone e ricomincia a inquinare. Transizione green rimandata.

L’Italia anche se cerca di rifornirsi altrove deve però far arrivare il gas a imprese e famiglie. E ci servono i rigassificatori, quegli impianti a terra o sulle navi che trasformano il GNL, gas naturale liquefatto, in gas aeriforme da distribuire con i tubi della rete. Ci serviranno altre Piombino, ma aspettiamoci comunque opposizioni e rivolte: occorre però guardare avanti, tenere il punto e decidere, anche la politica, ragionando senza freni in stile “no tutto”. Poi Chiara Albanese ha riservato un passaggio anche ai giacimenti italiani: ce ne sono, nulla va trascurato, ma non sono risolutivi, perché valgono solo il 5% del nostro fabbisogno annuo.

La crisi geopolitica ha pure un evidente risvolto militare: ed è arrivato anche il momento di chiedersi quale sarà il ruolo della Nato. Finora l’Alleanza Atlantica era un po’ sullo sfondo, quasi senza un ruolo dopo la fine della guerra fredda. Ora che è ridiventata centrale cerca di ridefinire le proprie strategie, in equilibrio tra il peso preponderante degli Stati Uniti e quello crescente degli alleati europei, soprattutto a Est. Da un lato occorre mantenere la pressione sulla Russia e sostenere l’Ucraina, dall’altro intervenire direttamente aprirebbe scenari cui non vogliamo pensare: eppure non potremo girarci intorno ancora a lungo.

C’è una via d’uscita? Esiste una strada alternativa, forse una trattativa? Non ci sono molti dubbi, dice la caporedattrice di Bloomberg. Putin e i suoi vivono in una realtà alternativa ed è impossibile scendere a patti finché la guerra non finirà: o con il ritiro delle truppe di Mosca o con la loro esplicita sconfitta. Vada come vada, il legame che ha unito Occidente e Russia negli ultimi trent’anni, consolidato grazie ad apparenti vantaggi reciproci – valuta e tecnologie in cambio di materie prime – adesso sembra essersi rotto, forse per sempre. Resta da capire se Putin, che sta esaurendo le ultime risorse sia militari che economiche, vorrà andare avanti fino in fondo o cercherà di salvare il salvabile del potere: dipenderà dalle riserve a noi ignote con cui sta finanziando la guerra anche se non vende più gas.

Vuol dire che è finita l’era dell’abbondanza? Non necessariamente, non è detto, visto che l’Occidente è uscito bene dal post-pandemia. Lo capiremo meglio dopo la guerra: è tutto lo scenario che si sta ridisegnando. E il governo? Il cambio ha modificato la percezione che l’estero ha delle scelte italiane? “Con Draghi ci vedevano molto bene”, dice Albanese, “ma con lui era facile perché era molto conosciuto e rispettato in tutto il mondo: la narrazione che raccoglievamo dall’estero era molto positiva. Giorgia Meloni è arrivata al governo con il peso delle sue radici di destra, che molti credevano troppo ingombranti per consentirle un efficace approccio ai problemi del Paese. Ma sia prima delle elezioni che già nel primo periodo ha mandato messaggi rassicuranti ai partner stranieri, e le sue scelte hanno fatto rientrare molti dei timori sulla sua conduzione del governo”.

L’ultimo passaggio è stato sulla capacità della stampa di affrontare le crisi: virus e politica, economia e guerra. Chiara Albanese ammette che c’è una differenza rilevante tra l’Italia e la posizione abitualmente assunta dal resto del mondo occidentale – e dalla sua agenzia. All’estero la stampa non concepisce che nel parlare di Ucraina si dia spazio ai sostenitori di Putin, espliciti o nascosti. Che invece da noi sono ospiti assidui dei talk show, anche se non nei giornali. C’è un dubbio che l’opinione pubblica italiana, cercando di fatti su cui formarsi un’opinione, si trovi troppo spesso in mezzo a zuffe tra partiti contrapposti che non fanno comunicazione. Come se l’informazione non fosse parte della soluzione ma del problema: un’altra crisi – una delle tante – che presto o tardi dovremo pur affrontare.